Da necessità operativa durante il lockdown, a vero e proprio modello di business. La ristorazione sta passando al lato oscuro, quello delle dark kitchen. Un epiteto che racchiude diverse sfumature di significato e investimenti crescenti.
Secondo uno studio Euromonitor, infatti, il valore del mercato delle dark kitchen dovrebbe raggiungere il trilione di dollari nel prossimo decennio grazie alla spinta del delivery che, già nel 2019, ha raggiunto i 107 miliardi di dollari a livello globale (+56%). A dettare il passo, a livello numerico, è senza dubbio il mercato asiatico con Cina e India che, rispettivamente, possono contare su una rete di oltre 7.500 e 3.500 dark kitchen. Negli Usa, invece, il mercato ha raggiunto circa le 1.500 unità. Ma dagli States arrivano le migliori best practice e le case history da seguire anche nel Vecchio Continente.
Dollari, mattone e spazio libero
Fra i protagonisti della crescita delle dark kitchen c’è senza dubbio Kitchen United. L’azienda, specializzata nello sviluppo di questo format, ha appena cambiato i vertici societari (con la nomina di Michael Montagano a nuovo ceo) ma non la strategia di sviluppo. Nei prossimi anni si attende l’apertura di 400 hub e oltre 5.000 cucine. Ma la competizione comincia a farsi dura. L’ex fondatore di Uber Technologies, Travis Kalanick¸ dopo aver lasciato la piattaforma dedicata alle consegne di cibo a domicilio, ha dato vita nel 2017 a CloudKitchens, una start up che in poco tempo è riuscita a chiudere diversi round di finanziamento. L’ultimo, dal valore di 400 milioni di dollari sottoscritto in buona parte dal fondo sovrano dell’Arabia Saudita, è stato utilizzato in parte per estendere la presenza brick&mortar dell’azienda che nell’ultimo anno ha acquisito circa 40 location per un valore di circa 130 milioni di dollari. Una cifra “scontata” grazie all’attuale stato di crisi del settore immobiliare commerciale pesantemente colpito dalla Retail Apocalypse generata dall’emergenza Covid. Una soluzione a cui anche un gigante come Kroger sta facendo più di un pensiero vista la sovrabbondanza di spazio commerciale a disposizione. Nel Midwest, l’azienda della grande distribuzione americana in partnership con la start up ClusterTruck ha ripreso un progetto pilota lanciato nel 2019. Lo scorso anno in alcuni supermercati, Kroger aveva ricavato circa 450 mq di spazio dedicati esclusivamente alla preparazione dei kit meal di ClusterTruck. Ora il progetto dovrebbe estendersi ad altre location sulla scorta di un commercio elettronico che è cresciuto del 100% per l’insegna GDO.
Dai ristoratori, per i ristoratori
Opposto l’approccio di Wow Bao che punta sui ristoranti ancora aperti offrendo loro la possibilità di diversificare le entrate. Una proposta che si sta rivelando un successo: a ottobre la catena specializzata in cucina asiatica (panini, ravioli, ramen, ecc.) ha comunicato di aver superato quota 100 dark kitchen sul territorio statunitense. Le aperture fanno parte di un piano di sviluppo ideato e lanciato prima della pandemia che si poneva l’obiettivo di fornire ai ristoratori uno strumento capace di aumentare i margini operativi e i profitti. Aspetti che si sono rivelati quanto mai essenziali nel panorama odierno. Differentemente da altri operatori, infatti, Wow Bao offre ai propri clienti la possibilità di ricavare all’interno dei propri spazi un’area dedicata alla preparazione del menu asiatico (i cui prodotti vengono forniti surgelati e pronti per essere cotti al retailer) successivamente distribuito attraverso gli aggregatori. Il tutto per vendite settimanali garantite intorno ai duemila dollari dopo sei settimane di apertura (ma già sono operativi locali che generano 260mila dollari di vendite all’anno) e un guadagno del 40% per il singolo ristoratore. Chi invece ha già le spalle abbastanza larghe, come la catena di barbeque restaurant Famous Dave’s, ha fatto tutto in casa utilizzando il sistema delle dark kitchen come strumento per espandersi nei centri urbani. Da sempre caratterizzato per uno sviluppo nelle aree suburbane (dove il costo degli affitti incide meno), Famous Dave’s ad aprile ha aperto la sua 131° location a Chicago: niente sedute, tavolini, casse ma solo consegna a domicilio e asporto. Un progetto che ha fatto da apripista per la collaborazione fra la parent company BBQ Holdings Inc. e Bluestone Hospitality Group il cui scopo è quello di avviare almeno 25 dark kitchen sul territorio nazionale, la metà delle quali proporrà un’offerta duale che comprende anche il menu del brand Johnny Carino’s.
Modello asiatico
Con un mercato food delivery che, secondo Nikkei Asian Review, vale circa 53 miliardi di dollari non sorprende che l’Asia sia la regione in cui le dark kitchen stanno avendo maggior successo. Così come non sorprende che sia il gigante cinese a farla da padrona con 37 miliardi di dollari di valore derivante da questo segmento del commercio, grazie a una popolazione ormai abituata alle transazioni digitali (il 63% dei consumatori utilizza app e siti web per ordinare cibo). Ecco allora che all’ombra della Grande Muraglia gli investimenti prima diretti verso la ristorazione tradizionale, in calo del -7,5% nel periodo 2016-26, sono stati dirottati sulle dark kitchen. Ne è un esempio Panda Selected che nel giro di un anno ha aperto 103 location per un margine operativo del 20% rispetto al 10% dei ristoranti tradizionali. L’obiettivo è quello di raddoppiare il network grazie a un format che prevede uno spazio di 400-500 mq capace di ospitare dai 15 ai 20 brand che pagano una fee mensile di base che aumenta a seconda dei servizi usufruiti (come l’analisi dei dati di vendita e delivery).
Italia, un mercato in divenire
Alle nostre latitudini, le dark kitchen sono ancora un modello in divenire che, grazie all’accelerazione digitale imposta dal lockdown, periodicamente accoglie nuovi player. L’ultimo in ordine di tempo è la start up Kuiri che, partendo da Milano, ha lanciato sul mercato una formula che offre la possibilità a piccoli e grandi imprenditori di avviare la propria attività di food delivery con un investimento iniziale del tutto accessibile, minimizzando i costi di affitto, personale, pulizie, tecnologia e fornitori. Attraverso smart kitchen grandi circa 15 mq e collocate nelle zone più strategiche della città, Kuiri (che in esperanto significa “cucinare”) non si limita a rifornire clienti chiusi in casa dal coprifuoco ma si appresta ad accoglierli anche sul punto vendita. Il format prevede una vetrina dedicata con totem digitale, una finestra per il pick-up e un dehors con sedute. Insomma, un’evoluzione del concept il cui antesignano è stato Ktchn Lab. L’azienda che ha effettuato il primo ordine a marzo 2019 ha messo in campo, un anno e 100mila clienti serviti dopo, un piano di otto nuove aperture (di cui una all’estero).
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