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KFC sta per tagliare il traguardo dei 120 ristoranti in Italia, con un giro d’affari complessivo nel 2024 di 179 milioni di euro.

Il marchio, sorretto in Italia dalla formula del corporate franchisee, ha appena inaugurato un nuovo locale a Roma, annunciando un ulteriore sforzo sulla Capitale e sul Lazio: ci sono già 18 locali nella regione (12 a Roma), se ne aggiungeranno altri 10 nel corso dell’anno. Tra cui uno, centralissimo, vicino alla Fontana di Trevi, che diventerà il flagship store italiano. Dei circa 35 milioni di euro di investimento previsti nel 2025, oltre il 50% è destinato a questo territorio. Intanto, spazi di affissione, social (e forse altri canali) sono pieni della massiccia campagna marketing con un claim particolare: NOggets-NO gusto fake, NO pollo shake, che parte dell’Italia per poi essere estesa in Europa, creata per lanciare l’arrivo nel menù dei nuggets. Che ancora non c’erano. Come spiega l’a.d. di KFC in Italia, Corrado Cagnola, in questa intervista.

Partiamo da qui. Soddisfatti della campagna?

Molto. Come KFC Italia abbiamo sostenuto l’investimento per questa campagna, che poi verrà estesa agli altri mercati europei, con qualche riadattamento per i vari Paesi, ma che sostanzialmente rimarrà la stesa.

Che cosa significa NOggets?

Da un lato, anche se può sembrare strano, i nuggets di pollo entrano nel nostro menù. Prima non c’erano. Da qui l’idea di creare un lancio, con un nome particolare. In più, l’avverbio di negazione sta a significare che non proponiamo pollo precotto, pre lavorato o fatto di bocconcini di carne ricomposta. Appunto, niente “fake”. Solo pollo crudo, tagliato a fette, impanato e fritto al momento. Al contrario di quel che fanno gli altri fast food.

Sicuro?

Sì. Sfido a dimostrare il contrario.

Veniamo allo sviluppo. Con circa 30 aperture nel 2024 siete arrivati a 120 ristoranti. Come procederete adesso?

Quando abbiamo introdotto anche l’opzione dei ristoranti diretti abbiamo impresso un’accelerata formidabile e ancora per quest’anno il ritmo non cambia gran ché. Anche nel 2025 chiuderemo con una trentina di nuovi ristoranti, grosso modo dieci diretti e gli altri affiliati.

Dove c’è più spazio di crescita?

Dovrei dire dappertutto. Abbiamo mappato oltre 500 zone in Italia in cui potenzialmente c’è spazio per un KFC. Diciamo però che finora abbiamo sviluppato molto i centri commerciali e le principali strade delle città. Adesso è ora di investire di più sul drive, quindi grandi arterie anche fuori dai centri abitati. E stiamo dialogando con alcuni operatori legati alle stazioni di rifornimento. Ma per ora questo è poco più di un test.

Qualche catena sembra frenare sull’affiliazione, a favore di un maggior ricorso alla gestione diretta. Anche voi?

No, al contrario. La gestione diretta è una possibilità in più che completa il business, ma siamo soddisfatti dei partner del franchising e loro lo stesso di noi. Abbiamo raggiunto un totale di ventidue partner affidabili, che al momento costituiscono l’ossatura della rete. Saranno loro a portare avanti lo sviluppo, ciascuno nell’area geografica di riferimento.

La congiuntura appare debole. Come vanno le vostre vendite?

Gennaio e febbraio sono andati a rilento, ma è il terzo anno di fila che notiamo questo trend, ormai un po’ fisiologico. In generale andiamo bene. Proprio perché c’è minor capacità di spesa, il fast food raccoglie favori. Da noi si mangia con 7/8 euro a persona, addirittura con 5 euro si trova un’offerta entry level, quindi indubbiamente stiamo raccogliendo una parte di clientela che prima si concedeva scontrini più alti. I primi giorni di marzo stanno andando meglio. Dalla primavera in poi, con tanti ponti festivi, prevediamo un’ottima stagione.

Il giro d’affari è salito a 179 milioni. Ma i margini?

Molto buoni, per noi e per gli affiliati. Sicuramente parliamo di una doppia cifra, come percentuale sui ricavi.

Fra delivery e negozi, com’è la proporzione degli introiti?

A seconda dei ristoranti, il delivery sta fra il 10% e il 15%. Quindi è senz’altro un canale da presidiare e su cui lavorare. Per quanto sia un terreno che lascia qualche perplessità.

Quali?

Le piattaforme ancora non fanno utili, mentre i ristoratori, inutile nasconderlo, affrontano qualche criticità. E i rider oggettivamente non se la passano bene. Ora è in corso una fase di aggregazione tra le piattaforme, come la recente operazione che ha “avvicinato” JustEat e Glovo. Vedremo come evolverà questo mercato.

A.L.