Capatoast compie dieci anni, trascorsi dalle prime aperture a Napoli, fino al recente rebranding.
Il marchio ha provato a trasformare uno dei panini più semplici, il toast prosciutto e formaggio, in un player del quick service.

Dopo Napoli, le aperture sono avanzate a macchia di leopardo e oggi il marchio è presente al Nord, in Campania, Lazio, Sicilia e Sardegna, da Merano a Catania, passando per Roma e Milano.
I punti vendita di Capatoast oggi sono una quarantina, la maggior parte in franchising. Anche se è in corso un riequilibrio, con un maggior ricorso alla gestione diretta. Come spiega l’amministratore delegato, Stefano Finco, in questa intervista.
Qual è oggi la fotografia della rete di punti vendita Capatoast?
La catena conta 10 ristoranti a gestione diretta e circa 27 in franchising. La situazione è frutto di una strategia del passato che prevedeva una forte diffusione del business attraverso la capillarità dell’affiliazione. Dallo scorso anno abbiamo deciso di riequilibrare le forze ed il nostro obiettivo di medio e lungo termine è arrivare al 50% – 50%, per dare maggiore consistenza ed indirizzo all’execution.
Qual è la strategia per il 2025, come numero di aperture e canali di vendita privilegiati?
Nel 2025 prevediamo circa 10/12 aperture, con un rafforzamento delle toasterie in gestione diretta e l’apertura in affiliazione attraverso la partnership con franchisee strutturati, in prevalenza al Nord e al Centro. Apriremo in franchising una serie di ristoranti in Trentino – Alto Adige, un mercato maturo per il prodotto “toast” e vicino a mercati esteri d’interesse.
In questo momento indirizziamo il programma di espansione su centri commerciali con traffico medio-alto (sopra i 5 milioni di visitatori all’anno), ma siamo anche attenti a location strategiche nei centri storici. Infine, stiamo studiando il travel che consideriamo in linea con il nostro prodotto e molto interessante per la visibilità del brand.
Facciamo un passo indietro. Come si è chiuso il 2024?
Il 2024 è stato un anno di consolidamento, con cinque aperture, ma anche la chiusura di alcuni piccoli franchisee disallineati rispetto al brand. Abbiamo comunque dato un’accelerata sullo sviluppo della catena diretta, con una crescita del 24% rispetto al 2023.
Anche a seguito degli aumenti inflazionistici delle materie prime, non abbiamo cambiato strategia sul prodotto, mantenendo invariate le dimensioni e la qualità, continuando a collaborare con partner di riferimento come Amadori, Salumificio Coati, Rio Mare, Sea Food for Norwey, Rio Mare, Lamb Weston, oltre a quelli artigianali che producono per noi ricette esclusive, tipo il pane, i latticini, le salse, la birra a marchio.
L’anno scorso avete operato un rebranding. Come mai?
Pensiamo che Capatoast offra un prodotto unico nel panorama della ristorazione veloce, ma il cliente, che ha in mente il toast del bar o quello fatto in casa con il pane industriale, rischia di non percepirne il valore. Da qui l’esigenza di rafforzare questa consapevolezza. Così è nato il rebranding “CAPATOAST il Megatoast”, marchio registrato in Italia ed in Europa, così da poter aggredire ogni tipo di mercato.

Qual è il target di clientela?
Riusciamo a incuriosire lavoratori, studenti universitari ed anche famiglie. Le survey effettuate ci restituisco un dato medio di un cliente sui 35 anni con un buon livello di istruzione, un reddito medio, con una presenza importante sui social ed un’attenzione a qualità e varietà delle ricette.
In quale fascia vi collocate come prezzo? La concorrenza è il fast food?
I nostri prezzi spaziano dai 6 ai 12 euro, con una varietà importante di ricette, dalle più salutari (vegane e vegetariane), alle più ricche della cucina italiana (porchetta di Ariccia, salsiccia, friarielli, stracciatella pugliese), fino a quelle a tre piani. Ci poniamo nel segmento della ristorazione fast food con una proposta salutare e leggera. Con le proposte “cena” e con il menù Cenatosta a 9,90 stiamo allargando la nostra penetrazione nel segmento serale dove siamo una valida alternativa a pizzerie ed hamburgerie.
A.L.