Skip to main content

Nata dalla joint venture siglata nel 2013 da TIAA-CREF, società specializzata nella fornitura di servizi finanziari con una forte focalizzazione sul mercato real estate Usa, e da Henderson Global Investors, tra i principali player attivi nell’investment management in Europa, TH Real Estate (società di Nuveen company) vanta un portfolio immobiliare attivo su scala globale e valutato in 109 miliardi di dollari (dato aggiornato al 31 dicembre 2017).

Al vertice della divisione italiana di TH Real Estate c’è Mario Pellò, head of investment, che r&f ha incontrato per delineare le dinamiche del mercato nazionale sul fronte degli investimenti Retail RE, declinate nei segmenti: centri commerciali, factory outlet village, retail park e high street.

Innanzitutto qualche numero: a quanto ammonta in Italia il portfolio immobiliare retail di TH Real Estate?

Mario Pellò, head of investment di TH Real Estate

In Italia vantiamo immobili per un valore di poco superiore ai due miliardi di euro, di cui il retail rappresenta la quasi totalità per un dato poco inferiore ai due miliardi. Gli asset in questione sono 11, differenziati in factory outlet village (5), centri commerciali (1), retail park (3) e high street (2). La Gla supera leggermente i 250mila mq e il numero di tenant sfiora i mille.

Dopo le recenti acquisizioni del Meraville Retail Park (BO) e degli outlet di Vicolungo (NO) e Castel Guelfo (BO), sono in previsione ulteriori operazioni?

Siamo sempre attivi sul fronte delle acquisizioni, anche se al momento c’è poco prodotto di qualità sul mercato. E in questa fase storica, con il retail che sta affrontando la cosiddetta apocalisse americana, si richiede una particolare selettività nell’individuare la tipologia di immobile, anche se riteniamo che il contesto in Europa e in Italia nello specifico non sia assimilabile a quello oltreoceano per diverse ragioni. Una di queste attiene all’e-commerce che, a mio avviso, è un fenomeno sovrastimato in virtù del fatto che negli Usa il tasso di penetrazione è simile a quello che si registra in Germania e Inghilterra, dove però non è presente lo stesso trend di crisi. E se si guarda alla Cina, la penetrazione è ancora più elevata, ma i centri commerciali non palesano queste difficoltà. In Italia il dato si mantiene decisamente più contenuto: inferiore al 6 per cento. Il tema a mio avviso è dato dalla quantità e dalla qualità dell’offerta. In America, secondo i nostri dati, la densità a mq per abitante è sei volte quella media europea e circa otto quella italiana. Quindi siamo di fronte a mq retail in eccesso e specialmente a mq afferenti a un determinato tipo di retail: in America vi è un fenomeno, presente in Europa solo in Inghilterra, che consiste nella grande concentrazione di department store con un posizionamento di offerta medio basso. Questo tipo di retail sì, è in crisi. Di contro, se andiamo a vedere i migliori centri commerciali negli Usa, la density è superiore del 30% agli alter ego europei. Ancora una volta la questione verte sul prodotto e sulla location. Guardando ai total return degli investimenti dal 2003 ad oggi nel retail, ci si accorge che la differenza tra prime e secondary location è sempre più marcata. I centri commerciali prime in Italia non hanno sentito la crisi, mostrando fatturati in continua crescita e buone performance degli affitti, mentre tra i secondary si è assistito ad una crescita del  tasso di vacancy e pessimi ritorni per gli investitori. Ormai il visitatore vuole qualcosa di più del semplice shopping: cerca un’esperienza.

Quali caratteristiche devono avere i centri commerciali per interessarvi?

Meraville Retail Park, Bologna

Come accennato la location è importantissima, deve essere in zone con una catchment area forte, senza troppa competizione o quantomeno con una competizione tarata sulla quantità di abitanti. Inoltre devono essere in città che definiamo “a prova di futuro”: quindi abbastanza ricche e che attraggano giovani, come Milano che ha un Pil pro-capite molto alto, un basso tasso di disoccupazione e numerose università. Ovviamente l’immobile deve avere una dimensione minima che permetta di creare l’esperienza per il consumatore, quindi almeno 40mila mq di Gla. Rispetto ai contenuti, il food&beverage sta guadagnando un’importante fetta di mercato, con percentuali sino al 20% della Gla, e il leisure è strategico specialmente in sinergia con la ristorazione in un’ottica serale legata alla cena. L’industria dei centri commerciali è oggi impegnata nella ricerca di marchi food con elevati standard qualitativi e con un’offerta variegata per poter proporre esperienze gastronomiche di qualità all’interno dei centri.

In tutto questo stiamo per assistere alla realizzazione dei nuovi super regional mall, concentrati prevalentemente su Milano e nel Nord Italia.

Ci sono progetti in pipeline di grandi dimensioni che penso saranno di successo, come Westfield a Milano, o caratterizzati da soluzioni avveniristiche, come quello di Torino Caselle che tuttavia dovrà contendersi un bacino fortemente presidiato. Ma ci sono tanti progetti in generale e questo è il problema: ho dubbi sui piccoli centri commerciali che vedo sviluppare in location secondarie con metrature di 20/25mila metri quadrati. Oggi comprare uno shopping centre piccolo è rischioso, perché l’esperienza è data anche dalla dimensione e dalla possibilità di ospitare brand che occupano determinate superfici. Infatti, mentre ci sono marchi che stanno riducendo la metratura dei propri store, come quelli nel settore dell’elettronica di consumo, altri passano dai 100 ai 200 metri quadrati. Quindi occorre che il centro commerciale sia flessibile per poter andare incontro a queste esigenze, con una capacità adattiva del layout oltre che della struttura. Si rischia altrimenti di avere molta profondità quando invece servirebbero spazi che si sviluppano in larghezza e con ampie vetrine. Ovviamente ci sono delle eccezioni: il nostro centro a Cosenza (Metropolis, ndr) è di 25mila mq ma funziona molto bene perché si colloca in un bacino protetto e perché abbiamo continuato a investirvi, ristrutturandolo completamente pochi anni fa.

Arriviamo quindi al segmento che vi vede maggiormente impegnati con ben 5 asset in portfolio: gli outlet. Quali sono le dinamiche di queste strutture?

L’espansione del Serrvalle Designer Village, Alessandria

L’Italia è uno dei mercati più interessanti d’Europa e la nostra prima acquisizione, come Henderson, risale al 2004 a Serravalle Scrivia. Ad oggi abbiamo due fondi che investono in outlet: tre immobili con McArthurGlen in qualità di gestore e due con Neinver. L’ultimo, quello di Castelguelfo, lo abbiamo acquisito tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, a dimostrazione di quanto crediamo in questo settore. Settore che si è dimostrato anticiclico con ottime performance nei periodo di crisi. In particolare il Serravalle Designer Outlet è uno dei migliori factory outlet village in virtù di una location vincente e di un’offerta che include i brand del lusso. Dall’acquisizione è stato oggetto di continui sviluppi, arrivando sino alla fase 5 e 6, quest’ultima realizzata con Aedes e di cui siamo molto contenti. In questi spazi siamo impegnati al consolidamento dell’offerta con l’ingresso degli ultimi marchi.

L’investimento sul Meraville di Bologna dimostra il vostro interesse anche per i parchi commerciali. Soluzione che sino a pochi anni fa era considerata secondaria.

Il retail park è sempre stato sottovalutato nel nostro mercato, a torto perché porta con sé il concetto del convenience store. La visita è finalizzata all’acquisto e non all’esperienza, per cui la domanda del consumatore è differente. Con l’European Cities Fund abbiamo comprato il Meraville nel 2016, uno dei migliori parchi commerciali d’Italia, dotato complessivamente di 45mila mq di Gla. E continueremo a investirci attraverso un progetto di refurbishment finalizzato al rifacimento delle facciate con una nuova immagine.

Quindi l’high street, da sempre considerato un bene rifugio nell’immobiliare retail. Quali le prospettive per questo comparto che anche nel 2017 ha registrato valori in forte ascesa?

Il Vicolungo The Style Outlet, Novara

Come TH Real Estate contiamo un paio di immobili in portafoglio per altrettanti fondi che gestiamo. È un segmento che performa benissimo da anni, forse l’unico che vedeva crescere i valori oltre alle vendite. Nei momenti di crisi gli investitori si sono giustamente indirizzati all’high street e oggi sono arrivati a valori al momento piuttosto elevati. Credo che l’high street sia il passato, il presente e il futuro, perché l’esperienza per il consumatore è data dalla città, specialmente per paesi come l’Italia dove il contatto con l’esterno, il vivere all’aria aperta, è piacevole per 7-8 mesi l’anno.

Infine, Mapic Italy e la primissima edizione di Mapic F&B sono alle porte. Qual è l’importanza di queste fiere per una realtà come TH Real Estate e in generale per i grandi investitori nazionali e internazionali?

Mapic Italy è un prodotto diverso da Mapic: è rivolto specialmente ai retailer e ai gestori dei centri commerciali, mentre non si verificano grandi incontri tra investitori. È un’ottima iniziativa, partita bene, sebbene inizialmente abbia coinvolto soprattutto le aziende del Nord Italia, a differenza del Mapic di Cannes che abbraccia l’intero comparto nazionale. Dal mio punto di vista manca ancora un tassello: manca una vera fiera del real estate italiano, anche se non sono sicuro che il mercato sarebbe pronto per sostenerla. Questo segmento vede oggi in Expo Real e Mipim i due eventi di riferimento.

A.P.

Riproduzione riservata © retail&food