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Nativa digitale ma con un prodotto fortemente ancorato alla tradizione della calzatura made in Italy, la società fondata nel 2013 da Enrico Casati e Jacopo Sebastio è diventata un vero esempio di retailer omnicanale, abbinando alle vendite e alla comunicazione online lo sviluppo monomarca.

Da sinistra: Enrico Casati e Jacopo Sebastio, founders Velasca

«Velasca nasce nel 2013 con l’obiettivo, la mission, di offrire una scarpa di elevata qualità artigianale made in Italy direttamente al consumatore finale, saltando quindi tutto ciò che costituisce intermediazione e che incide non sulla qualità del prodotto ma semplicemente sul prezzo, perché ad ogni passaggio di mano viene applicato un piccolo mark up». Con queste parole Jacopo Sebastio ha iniziato a descrivere a r&f il brand Velasca, di cui è co-fondatore e ceo insieme al socio Enrico Casati. Parole che fanno trasparire la grande passione per questo progetto cresciuto esponenzialmente rispetto a quando, nel primo anno di attività, fatturava come ogni start up poche migliaia di euro al mese. Ma proprio come capita ad ogni start up, oltre alla passione e alla competenza c’è alla base la scintilla dell’idea, scattata in questo caso dal soddisfacimento di un fabbisogno personale: Enrico Casati (24 anni e business analyst per HSBC Singapore) alla ricerca di scarpe eleganti da ufficio di alta qualità a un prezzo ragionevole si affida a suo fratello e al suo migliore amico che da Milano gli consegnano, facendo una deviazione a Bali, un paio di francesine di fattura artigianale. Su quelle spiagge incontaminate Enrico e Jacopo Sebastio (30 anni e consulente per Deloitte a Milano) si chiedono come era possibile che a Singapore non si riuscisse a ordinare un semplice paio di scarpe da una bottega di Milano. Dopo aver deciso, entrambi, di abbandonare le rispettive professioni, i due giovani, rientrati in Italia, danno vita con i propri risparmi a una start up specializzata in scarpe da uomo artigianali rigorosamente Made in Italy e indirizzate ai professionisti come loro.

Come nasce e si evolve nel tempo il vostro modello di business?
Siamo nati come azienda online only, con l’idea di cavalcare le nuove tecnologie e i nuovi canali di comunicazione, offrendo i nostri prodotti direttamente dal sito web Velasca.com. Dopo aver fondato la società, abbiamo individuato nel distretto marchigiano l’hub di produzione artigianale migliore per i nostri obiettivi e infine abbiamo avviato la piattaforma eCommerce. Nel primo anno e mezzo abbiamo operato esclusivamente online, senza ottenere un successo particolare. Ancora nel 2014 il fatturato mensile di Velasca si aggirava sui 3.000 euro. Nello stesso anno, a marzo abbiamo ricevuto un primo seed di investimento pari a 60mila euro, cui ne è seguito un secondo a novembre da 120mila euro. Forti di queste iniezioni di capitale abbiamo deciso di provare l’operazione su strada: abbiamo aperto un piccolo temporary store in via Tortona a Milano. Nel giro di un weekend il negozio è andato a break even e in un mese ha registrato un fatturato di 30mila euro, quindi dieci volte tanto rispetto al giro d’affari precedente. Da quel momento abbiamo compreso quale fosse il nostro modello di business e, da un’azienda di puro eCommerce, siamo diventati a tutti gli effetti un brand omnicanale, mantenendo salda, però, la modalità direct-to-consumer.

Come si articola, ad oggi, la vostra rete di vendita fisica?
Al momento contiamo 12 botteghe, di cui 10 sono attive. Tre sono a Milano, due attive e una utilizzata per realizzare dei test; due a Roma; una a Firenze, a Bologna, a Torino e a Palermo – l’ultima in ordine di apertura – All’estero ne contiamo una sia a Parigi che a Londra, mentre la terza, a New York, sarebbe dovuta aprire il 12 marzo ma, a causa della pandemia, abbiamo preferito metterla in standby. Tutti i negozi sono di proprietà perché vogliamo che Velasca abbia il contatto diretto con il proprio cliente. Quindi, per noi, che il cliente compri online o offline è esattamente la stessa cosa: il nostro motto è “le scarpe Velasca le trovi solo da Velasca”. E questo ha rivoluzionato un po’ l’idea di fare commercio al dettaglio, perché non abbiamo la necessità che il commesso finalizzi la vendita. Ciò che ci interessa è che il nostro cliente o potenziale tale viva un’ottima esperienza ed esca dal negozio con un sorriso, perché se il brand e le scarpe gli piacciono potrà tranquillamente comprarle dal divano di casa o in una boutique quando, per esempio, trascorrerà un weekend a Bologna, o ancora farsele spedire a Londra se lavora nella City. Come caratteristiche di negozio, invece, preferiamo che non sia troppo grande, mentre come location optiamo per vie conosciute ma non commerciali. In questo modo riusciamo a contenere i costi fissi.

Quali sono, quindi, le dinamiche di sell out tra off e online?
Prima del Covid, nel 2019 abbiamo totalizzato un fatturato lordo di 10 milioni di euro che, al netto dei resi, si è attestato sui 9 milioni, di cui il 55% generato online e il 45% offline. La crescita, quindi, è stata abbastanza bilanciata sui due canali. E, per mantenerla tale, la nostra strategia è questa: prima apriamo un mercato, che sia domestico o estero, con la dimensione online. Poi creiamo una base utenti e, una volta raggiunto un numero interessante, chiediamo loro dove vorrebbero che Velasca aprisse una bottega. Da quel momento cerchiamo la location appropriata in base alle loro indicazioni. È interessante notare come il fatturato generato nei 12 mesi precedenti l’apertura di un negozio fisico si moltiplichi circa dieci volte in quello successivo. E se nel primo anno di apertura del negozio fisico il 95% dei clienti di quella specifica città preferisce comprare all’interno dello store, in seguito questa percentuale sale al 25% come abbiamo potuto constatare a Milano a distanza di 4 anni dalla prima inaugurazione. Da questo trend si evince che, chi all’inizio compra nella bottega, nel tempo diventa più aperto all’acquisto online, dato che matura una certa fiducia nel brand e la consapevolezza che, qualora la scarpa acquistata sull’eCommerce non dovesse calzare bene, la può riportare in negozio dove trova il brand ambassador che gliela cambia senza alcun costo. E il bilanciamento dei canali si riflette anche nello scontrino medio, che si mantiene sostanzialmente invariato.

Qual è l’investimento medio per realizzare una singola bottega Velasca?
Tra i 60 e i 70mila euro. Tendiamo a essere molto smart da questo punto di vista, inserendo pochi mobili su misura e tanti in stile vintage. La metratura varia dai 26 mq all’Arco della Pace a Milano ai 60 mq del negozio a Londra, per una media di circa 40 metri quadri. Tendenzialmente preferiamo avere una sola vetrina su strada, perché siamo dell’idea che lo store Velasca rappresenti un mondo da esplorare, di cui il cliente rimane incuriosito intravedendolo da fuori e che quindi decide di entrarvi per conoscerlo.

La scarpa, soprattutto se di alta qualità, è uno dei prodotti più difficili da vendere online, come avete superato questo ostacolo?
Inizialmente è stata una partita dura da giocare, che abbiamo affrontato puntando su una buona comunicazione e sulle spedizioni e i resi gratuiti. In particolare, la nostra comunicazione, nonostante una fisiologica diversificazione sul mondo offline, rimane al 99% digitale. Lato prodotto, ciò su cui abbiamo lavorato è offrire la stessa calzata su modelli diversi, soluzione non banale perché ogni modello di scarpa prevede generalmente suole, e quindi volumi, differenti. E la bontà di questa strategia trova conferma nel secondo ordine online, che mostra un tasso di reso quasi nullo. Guardando al futuro, nel momento in cui saranno disponibili applicazioni che permettano di vedere, con un alto livello di precisione e affidabilità, l’effettiva calzata del piede nella scarpa, saremo ricettivi nell’introdurle tra i nostri servizi. Infatti siamo già in contatto con tutte le società che potrebbero sviluppare un giorno questa tipologia di software.

Guardando al 2020, quali sono i riscontri sulle vendite e sulle dinamiche di consumo?
Year-to-date siamo allo stesso livello dello scorso anno, nonostante durante il lockdown sia stata persa la quota di fatturato generata dai negozi, pari al 45% del totale. Dalla riapertura, però, siamo tornati a lavorare su ritmi brillanti e oggi possiamo definirci soddisfatti, con la speranza che non siano imposte ulteriori restrizioni alla vendita fisica perché prevediamo risultati molto importanti nei prossimi tre mesi. Tra le principali evidenze di questo periodo, pur avendo speso il 30% di marketing in meno i nostri clienti hanno dimostrato di continuare a seguirci; e parallelamente abbiamo visto uno shift importante tra offline e online e tra nord e sud Italia: a causa dello smart working molti professionisti che si recavano nei negozi di Milano hanno fatto acquisti online dalle rispettive città di origine. Ovviamente, in parallelo, il conto economico si è un attimo depauperato in città come Milano, appunto, e Torino. Un cambiamento è stato notato anche sui modelli acquistati, a vantaggio di quelli più casual e informali.

Infine, quali i progetti pensando al futuro?
In primis quello di consolidare il brand Velasca sia in Italia che all’estero. Ma ci sono anche altri pilastri tra cui, forti della capacità di produrre scarpe di qualità artigianale, aprire al target femminile. E, facendo leva su un asset strategico quale è la proprietà del dato, vendere allo stesso cliente altri prodotti di qualità individuati tra i migliori distretti dell’artigianato italiano. Questi sono ambiti di applicazione percorribili nell’arco di cinque anni.

A.P.

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