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Claudio Gradara, presidente di Federdistribuzione, auspica un coordinamento tra Stato ed enti locali che produca norme nazionali valide per tutto il territorio del Paese. Alle aziende, l’indicazione di potenziare il canale on line

Mentre prosegue il dibattito tra Governo, regioni e task force scientifica in merito alla definizione della cosiddetta Fase 2, che porterà dal 4 maggio al progressivo sblocco delle attività aziendali, il mercato retail attende ancora di conoscere quali strumenti economici e finanziari saranno messi a disposizione dallo Stato per affrontare una ripartenza che sconterà inevitabilmente un trend di consumi ridotti. In questo processo decisionale giocano un ruolo fondamentale le associazioni, cui spetta il compito di fare lobbying per sensibilizzare il legislatore sulle necessità non solo dei rispettivi associati ma di tutti i player che operano sul mercato di riferimento.
L’associazione guidata dal presidente Claudio Gradara, che abbiamo intervistato lo scorso 20 aprile, rappresenta una quarantina di aziende che sviluppano un giro d’affari pari a 66,3 miliardi di euro, di cui 10,4 miliardi in franchising, che rappresentano una quota del 48,4% del totale fatturato della Distribuzione Moderna Organizzata e il 29,7% di tutti i consumi commercializzabili. Complessivamente, la rete distributiva delle imprese associate è composta da 15.460 esercizi diretti e in franchising (dato 2018).

L’ordinanza per la riapertura dopo Pasqua di alcune tipologie di negozi ha alimentato non poche polemiche. Qual è il vostro giudizio sulla gestione, da parte dell’Esecutivo, di questa situazione?

La riapertura dei negozi specializzati nell’abbigliamento per bambini è un fatto importante, perché comincia a far intravedere una luce in fondo al tunnel. Tutto l’abbigliamento è però in una situazione di grande difficoltà, con i punti vendita chiusi da settimane. E un ragionamento analogo vale per l’intero settore del non alimentare (bricolage, mobili e arredamento, profumerie, sport, ecc), con incassi azzerati ma costi fissi attivi (tasse nazionali e locali, contributi, assicurazioni, gestione del personale, canoni di locazione) e conseguente crisi di liquidità. In questo momento la gestione dell’emergenza sanitaria deve essere la priorità, ma occorre anche pensare a una ripresa graduale delle attività economiche finora penalizzate, per evitare che troppe aziende si trovino nelle condizioni di non poter riaprire. Abbiamo fiducia nelle scelte del Governo, ma vorrei sottolineare due cose. Sarà fondamentale che si riesca a realizzare un coordinamento tra Stato ed enti locali, per cui vengano varate norme nazionali valide per tutto il territorio del Paese, evitando che ogni Regione segua una propria strada. E occorre ricordare che il settore food della distribuzione ha continuato a operare in questo periodo a pieno regime, maturando un’esperienza che potrà essere di riferimento anche per altre attività.

Ha accennato allo scenario della cosiddetta Fase 2. Quali sono le vostre richieste al Governo affinché la riapertura dei negozi, in quel contesto, sia sostenibile per gli operatori?

La Distribuzione Moderna si trova in una situazione critica: abbiamo già parlato del settore non alimentare ma anche il food trova difficoltà. Dopo i primi tempi di corsa all’accaparramento ora le vendite sono tornate piatte; anzi, considerando che i consumi fuori casa in questo momento si stanno riversando tutti in acquisti presso la GDO, il saldo netto della spesa alimentare è oggi già negativo. Inoltre i costi di gestione della sicurezza sanitaria per clienti e collaboratori restano alti e l’inevitabile caduta dei consumi coinvolgerà anche i prodotti alimentari. Per valicare questa situazione e tornare a crescere occorre quindi, oltre a prevedere forme di tutela del potere d’acquisto delle famiglie, impostare una Fase 2 che dia nuovo fiato ai consumi, superando le limitazioni che attualmente li ostacolano: avere una strategia basata su regole chiare, di carattere nazionale e valide per ogni tipologia di formula distributiva, senza distinzioni; tornare a una piena liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi, per dare maggiori opportunità di acquisto ed evitare sovraffollamenti; rendere più flessibili gli spostamenti tra i comuni per fare la spesa; eliminare le restrizioni nella vendita dei prodotti non alimentari nella GDO; rendere disponibile temporaneamente la vendita al dettaglio per il canale dei Cash&Carry, come già avviene all’estero.

Con l’inizio del secondo trimestre, i retailer attivi all’interno dei centri commerciali hanno dovuto affrontare il tema dell’anticipo della quota fissa del canone di affitto per i mesi di aprile, maggio e giugno. Federdistribuzione come ha operato per tutelare gli interessi dei propri associati? Con quali riscontri?

Il tema dei canoni d’affitto è uno dei più rilevanti per le nostre imprese associate del non alimentare. Fin dall’inizio di questa emergenza e da quando queste aziende hanno dovuto, per obbligo o per scelta, chiudere i negozi ci siamo attivati con proposte concrete, veicolate alle istituzioni attraverso un’intensa attività di contatti e diffuse pubblicamente attraverso un piano di comunicazione che ha previsto pagine pubblicitarie e interviste ai media principali. L’obiettivo è quello di far prevedere misure che agevolino l’inevitabile rinegoziazione dei canoni d’affitto attraverso provvedimenti che favoriscano accordi tra le parti, compresa anche una dilazione degli impegni, così da permettere di superare l’attuale fase di riduzione della liquidità. Crediamo che ora il tema sia ormai evidente e che abbia preso una corretta rilevanza. Siamo quindi fiduciosi che il prossimo decreto possa essere coerente con le proposte che abbiamo formulato all’Esecutivo.

Una volta iniziata la Fase 2, come si valuta il rischio che il consumatore possa decidere di procrastinare gli acquisti per timore di entrare fisicamente nei negozi e quindi a contatto con altre persone?

La situazione che stiamo vivendo non ha precedenti: non esiste uno storico e non vi sono episodi pregressi con cui fare benchmark di alcun tipo. Guardando Paesi che hanno affrontato prima dell’Italia l’uscita dalla fase acuta dell’emergenza Covid-19, cioè la Cina e la Corea del Sud, si può evidenziare una risposta timida da parte dei consumatori, che sono comprensibilmente preoccupati nel tornare a frequentare con regolarità i grandi punti vendita. La Fase 2 porterà un alleggerimento delle restrizioni alla circolazione delle persone, ma resteranno in vigore misure quali il distanziamento sociale e l’ingresso contingentato nei punti vendita; questi fattori continueranno a impattare sui comportamenti e quindi ci aspettiamo una ripresa lenta dei consumi nella seconda parte dell’anno.

In che misura vede una maggiore complementarietà tra shopping off e on line, dinamica evidente anche prima dell’emergenza Covid-19 e destinata ad accentuarsi a causa della crisi sanitaria?

La multicanalità sarà una delle leve fondamentali per il futuro. Non c’è dubbio che l’esperienza della crisi da Covid-19 lascerà un segno nei modelli d’acquisto dei consumatori, e la frequentazione dell’eCommerce sarà uno di questi. Le imprese dovranno dunque valutare con attenzione questa opportunità e potenziare il canale on line, sia nel settore non alimentare che in quello alimentare, così impattato nelle ultime settimane dalle richieste dei clienti e dimostratosi fragile nel sostenere una domanda decisamente cresciuta. I consumatori sono ormai costantemente connessi e il processo d’acquisto è diversificato in tutte le sue fasi, spaziando in ogni direzione disponibile: riuscire a cogliere questi segnali sarà un fattore critico di successo. In questa fase si dovrà anche riconsiderare la regolamentazione di un settore che vede forti disparità di trattamento tra i pure player multinazionali e le ben più piccole realtà nazionali del commercio.

Di Andrea Penazzi

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