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La ripresa per KFC è stata veloce, anche se a macchia di leopardo. Per il 2020 sono previste ulteriori sei aperture, quindi 11 in totale, mentre per il 2021 la pipeline conta 20-25 opening di cui la metà con la formula drive. Formula che, al pari del delivery, rappresenta un canale aggiuntivo

Terminato il lockdown, il brand del Colonnello Sanders ha ripreso a macinare nuove aperture. A luglio è sbarcato nella stazione di Bari, avviando di fatto un nuovo canale, e ha conquistato una posizione presso il centro commerciale Globo di Busnago (MB); mentre a settembre ha inaugurato il quarto ristorante meneghino in via Panfilo Castaldi, nella zona di Porta Venezia. Con quest’ultimo opening sono 42 i ristoranti KFC in Italia, a dimostrazione di un’immutata capacità, anche in questo periodo, di coinvolgere gli imprenditori sul territorio per sviluppare la propria rete. Ma, come ha sottolineato a r&f Corrado Cagnola, amministratore delegato di KFC Italia, la ripartenza dello sviluppo retail passa dalla ripresa dei fatturati, tornati su valori prossimi a quelli ante Covid. Dal manager ci siamo fatti raccontare la ricetta del Colonnello per superare questa fase di mercato e affrontare le sfide future.

Corrado Cagnola, amministratore delegato di KFC Italia

Nelle scorse settimane KFC ha raggiunto quota 42 ristoranti in Italia. Quali erano i vostri progetti di sviluppo retail prima della crisi e come questi sono cambiati dopo il lockdown?
Durante il lockdown abbiamo avuto l’opportunità di riesaminare la pipeline e appena abbiamo capito che la situazione si sarebbe sbloccata abbiamo subito riattrezzato i locali e riavviato i cantieri. Uno, quello a Milano in Via Della Passarella, è stato portato avanti anche in periodo di Covid. Gli altri due erano già a buon punto e nel giro di poco tempo li abbiamo ultimati. Guardando alla nuova realtà, non sono cambiati gli obiettivi ma le caratteristiche dello sviluppo. Ciò si è tradotto nel dare ai nostri franchisee delle opportunità: in primis quella di confrontarsi con un recupero delle vendite post lockdown molto veloce. Ciò ha dato loro fiducia, capacità d’investimento e anche credibilità nei confronti delle banche, le quali, appena hanno visto muoversi importanti flussi di denaro, hanno capito che il business era ripreso senza grossi danni. Inoltre, abbiamo dato ai franchisee l’opportunità di guardare in direzioni che in fase pre Covid non erano ancora state esplorate, tra cui i canali delivery e take away che sono cresciuti in pochi mesi l’equivalente di un paio d’anni. E ancora, alcune location che non avevamo esaminato con attenzione o che avremmo preso in considerazione tra qualche anno sono diventate subito attuali. Tutto questo ci ha consentito di ridare linfa allo sviluppo e di trovarci adesso, fortunatamente, con la pipeline piena per questo anno e il prossimo. Un terzo fenomeno, contingente, è dato dalla maggiore disponibilità di location: in questo momento ci sono più opportunità sul mercato.

Qual è l’obiettivo di aperture in Italia per la fine dell’anno?
Entro fine anno abbiamo previsto altre sei aperture. Il nostro progetto per il 2020 era più ambizioso rispetto alle 11 che riusciremo a portare a termine. Per il 2021, invece, la pipeline conta 20-25 opening, di cui la metà con la formula drive, che per noi è molto importante. Al momento abbiamo quattro cantieri drive avviati, di cui uno a Roma che dovrebbe portare a un’apertura entro dicembre. In generale considero la formula drive un vero e proprio canale aggiuntivo, allo stesso modo del delivery.

L’apertura a Bari, in stazione, è stata la prima fuori zona rispetto al vostro perimetro. Quali le motivazioni di questa scelta?
Facciamo un passo indietro. Il nostro è un modello di franchising puro sin dall’inizio, per cui i ristoranti KFC in Italia li aprono soltanto i nostri affiliati. Oggi ne abbiamo otto e con ognuno di loro cerchiamo di concentrarci su una zona, che sia una regione o poco più. E in questo momento tale modello sta funzionando piuttosto bene. L’unica eccezione tra le nuove aperture, realizzata di recente, si trova in Puglia a Bari. Per noi rappresenta un’apertura di canale, figlia di un accordo stipulato con GS Retail. È una location un po’ particolare, con affaccio sulla piazza, che ci sta dando molte soddisfazioni.

Come avete adattato i locali e l’organizzazione del lavoro per rispettare le normative anti Covid?
Abbiamo messo a frutto quello che facevamo in precedenza, nel senso che le nostre procedure di igiene e sicurezza nelle cucine erano già a livello anti Covid. Per cui, in periodo di lockdown, quando era possibile effettuare solo servizio di delivery, la nostra attività, da questo punto di vista, è consistita semplicemente nel contingentare gli ingressi e le uscite, facendo attenzione che le delivery fossero realmente contactless. Nella fase successiva le precauzioni si sono concentrate sul cliente. Ma l’attività svolta prima con i rider è stata un buon training che ci ha fatto trovare pronti.

Sia per una questione di disposizioni sanitarie, che riducono la disponibilità di posti a sedere, sia per una differente predisposizione al consumo fuori casa, il settore del food retail sta risentendo fortemente della crisi. Anche se la formula di consumo veloce sembra tenere meglio di quella slow con servizio al tavolo. Condivide questo trend? Al momento, quali sono le vostre performance di fatturato?

Sicuramente il fast food sta recuperando più velocemente e probabilmente ha rosicchiato quote di mercato alla ristorazione tradizionale o a quella con servizio al tavolo. Noi siamo già vicini ai livelli 2019 di questo periodo. Ciò testimonia il fatto che il nostro marchio ha una resilienza molto forte e che probabilmente abbiamo ereditato clienti da altri brand che stanno facendo più fatica. In questo senso, infatti, il nostro scontrino medio non è paragonabile a quello di chi effettua servizio al tavolo, per cui, in periodi di difficoltà economica, è plausibile che ci siano famiglie o clienti che non possano più permettersi una ristorazione tradizionale e si rivolgano a operatori come noi che garantiscono qualità a un prezzo più contenuto.

In particolare, riscontrate un differente trend di ripresa tra le posizioni all’interno dei centri commerciali, quelle nei centri urbani e nelle location travel?
Non farei una suddivisione di trend per canale perché non è così che ha funzionato, almeno per noi. Ad esempio, il travel in generale ha sofferto molto, anche per KFC, ma non ovunque: il nostro ristorante di Bari, come accennato, ci sta dando soddisfazioni, così come quello nella stazione di Genova Brignole che sta performando quanto prima. L’andamento va un po’ a macchia di leopardo, e così vale anche per i centri commerciali. Le ottime location hanno recuperato praticamente tutto; quelle in sofferenza – come centri commerciali – già prima del Covid stanno ancora segnando il passo. Sicuramente ad aver subito un impatto molto forte sono state le città a forte vocazione turistica: KFC è un brand internazionale, per cui, dove il flusso turistico era notevole, come a Roma, Venezia e Firenze, i nostri ristoranti hanno fatto molta fatica. Ma anche in questo caso non è una questione di canale, bensì di una tipologia di clientela. Per il resto, mediamente i centri cittadini stanno rispondendo meglio, soprattutto con il ritorno a una vita semi normale. In questo senso è un segnale importante la riapertura delle scuole.

Infine, tema locazioni. Nel complesso come vi siete relazionati con le proprietà dei centri commerciali e non solo al fine di ottenere condizioni compatibili con la chiusura durante il lockdown e con i nuovi livelli di flussi e fatturato nella fase successiva? Siete soddisfatti dei risultati ottenuti?
Abbiamo parlato con tutte le proprietà di centri commerciali, trovando sempre un accordo soddisfacente. La nostra posizione, sin dall’inizio, è stata quella di mantenere un canale aperto per monitorare l’andamento. Abbiamo quindi rinegoziato con la gran parte degli operatori, prendendo accordi di medio e breve periodo. Per il lungo, invece, credo che il quarto trimestre dell’anno farà da cartina tornasole sulle performance future dei mall. In generale abbiamo l’obiettivo di continuare ad aprire ristoranti e quindi non abbiamo mai parlato di singole location bensì di rapporti con i gestori e le proprietà, che volevamo e vogliamo salvaguardare. E questo approccio è stato reciproco perché anche loro sanno che un operatore come noi può continuare ad avviare nuovi punti vendita in futuro. Parallelamente, credo e auspico che questo shock abbia fatto capire – in alcuni casi ci è stato detto apertamente – che l’affitto di un centro commerciale non può essere completamente slegato dal footfall. E, parallelamente, che è necessario slegare la performance finanziaria – ciò che oggi cercano le proprietà dei centri commerciali – dal rent che gli operatori pagano.

Andrea Penazzi

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