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Le regole del gioco retail spiegate dagli avvocati dello studio Cocuzza&Associati Studio Legale di Milano.

Con sentenza n. 30475/2019, depositata il 10 luglio 2019, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto: «la commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività».

In poche parole

La sentenza ha ad oggetto la cannabis Sativa L., tra i tre tipi in cui la cannabis è generalmente distinta, quello a meno contenuto di THC. Il THC è il Delta-9-tetraidrocannabinolo, è uno dei maggiori principi attivi della cannabis, in particolare una sostanza psicotropa presente in quantità diverse nei fiori di canapa, a seconda del tipo. La sentenza si concentra su una questione che era rimasta, in qualche modo irrisolta: atteso che la legge del 2016 contiene un elenco di derivati di alcuni tipi di cannabis che possono essere messi in vendita, questo elenco deve considerarsi tassativo oppure meramente esemplificativo?

Indicazioni chiare?

La sentenza contribuisce certamente a far chiarezza e ad imporre uno stop alla vendita di alcuni prodotti derivati dalla cannabis ma al contempo dipinge una zona grigia, quando fa salvo il caso che i derivati siano “privi di ogni efficacia drogante o psicotropa”. Si tratta di una indicazione che presuppone un controllo caso per caso sullo specifico prodotto venduto e che perciò non contribuisce a chiudere del tutto la questione. Tuttavia, è ragionevole pensare che una linea limitativa importante sia stata tracciata.

Punti vendita di cannabis light: quale futuro?

La sentenza e un particolare momento politico hanno contribuito a riempire le cronache di storie di punti vendita di cannabis in chiusura, parlando di “fine” di questi negozi e dipingendo scenari
catastrofici. La verità è che dipende da quali sono effettivamente i prodotti di punta di questi negozi: ove siano le infiorescenze di canapa, seppure a basso contenuto di THC, la ‘cannabis light’ per
intenderci, allora è chiaro che questi negozi hanno subito un ridimensionamento. Ove invece la clientela vi si rechi per comprare tutta una serie di prodotti diversi, al di là delle infiorescenze, i timori devono ritenersi infondati.

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