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L’emergenza coronavirus ha spinto molti brand a ripensare processi e business model per sfruttare l’accelerazione tecnologica avvenuta durante il lockdown. Ma quali sono le soluzioni più promettenti? Dall’eCommerce alle dark kitchen, passando per le gift card ecco i trend in atto.

Iniziata la fase 2, per il retail è tempo di evolversi. Il lockdown che ha messo in crisi il settore del commercio al dettaglio durante i mesi di forzata chiusura, ha rappresentato anche un momento di riflessione e ripensamento per l’industry. Fra eCommerce e logistica, delivery e dark kitchen, sistemi di pagamento digitali e contacless i punti di frizione non mancano e rappresentano altrettante possibilità per non perdere il gancio della futura ripresa.

Fisico-digitale: tempo di bilanci

«Il vero tema è se, oggi come oggi, avere molto spazio retail fisico sia un bene o no. Con i nostri clienti stiamo discutendo su quale dovrebbe essere il modello di servizio di domani. Nell’ultimo periodo, alcune aziende hanno rallentato lo sviluppo eCommerce, sia per non cannibalizzare il retail sia per proteggere i franchisee. In questo modo il classico rapporto della media-grande azienda italiana si è attestato sul 10% vendita eCommerce, 90% vendita retail. Ora ci si trova di fronte a una maggiore incertezza. Se nei prossimi anni dovesse scattare un nuovo lockdown, quanti negozi servono in rapporto a un eCommerce? 50-50? Sicuramente, avere tanti negozi inizia a diventare rischioso», racconta Luca Mascaro, imprenditore, fondatore e ad di SketchIn, studio di progettazione digitale nato nel 2006. L’azienda, 120 dipendenti sparsi in Europa, prima del Covid-19 era impegnata nell’ottimizzazione della customer experience per grandi player eCommerce europei. «A seguito dell’impatto del coronavirus anche le richieste e le esigenze delle aziende sono cambiate. Per quelle di grandi dimensioni è in corso un processo di scale up per far fronte ad aumenti di fatturato e utenti. Per questo puntiamo alla semplificazione dei processi e all’introduzione di nuovi concept di servizio che riescano ad assorbire la domanda. Per quanto riguarda le aziende di medie e piccole dimensioni, invece, le cose si fanno più difficili. Alcuni si sono rifugiati in soluzioni tattiche come lo sbarco su un marketplace, altri hanno puntato sull’eSale, ossia l’abilitazione della forza vendita a consulenze e vendite in collegamento digitale con il cliente», rivela Mascaro. Per tutti, la necessità di interpretare i nuovi trend in atto: «La paura iniziale di alcune persone a frequentare il retail fisico, la diffusione dell’eCommerce a un pubblico nuovo, utilizzo dei pagamenti digitali e contactless», conclude Mascaro.

Il futuro della ristorazione

A dominare la scena durante il lockdown è stato il delivery. Nonostante una prima battuta d’arresto all’indomani della chiusura forzata dei ristoranti, le piattaforme di consegna a domicilio hanno rappresentato un salvavita per molti esercizi dando impulso al fenomeno delle dark kitchen e dei virtual brand. «Finalmente i brand non vedono più la tecnologia come un nemico. Quando ne parlavo due o tre anni fa in molti sottovalutavano il fenomeno. Eppure si stava diffondendo rapidamente in molti paesi e sfruttava tecnologie già esistenti che aspettavano di essere applicate. Quell’occasione mancata avrebbe rappresentato oggi uno strumento per attenuare e addolcire i contraccolpi dell’emergenza», afferma Michele Ardoni, fondatore di Dynamic Food Brands e un’esperienza decennale nella consulenza retail. Il riferimento, però, non si riduce all’attivazione del delivery che «fatto in questo modo rischia di risultare un costo per i piccoli ristoratori che devono corrispondere una commissione del 30% per avvalersi del servizio delle piattaforme». Per il rilancio della ristorazione, ci vuole qualcosa in più: un nuovo modello attraverso cui pensare lo sviluppo dei brand. «La dark kitchen, in questo senso, diventa il punto di contatto fra imprenditore e ristoratore e non più uno spin-off dell’attività di uno di due. Il vantaggio è duplice: per il gestore ci sarà la garanzia di ricevere un prodotto di alta qualità, certificato e semilavorato così da rispettare i tempi di cottura e consegna; per il brand la dark kitchen diventa strumento per ampliare il proprio mercato, raggiungere diverse piazze senza il rischio del canale fisico», spiega Ardoni. Una scelta di sviluppo che deve fare i conti con il tema della logistica: «Se possibile, la gestione della consegna a casa dovrebbe tornare in capo ai ristoratori. In questo modo aumenterebbero notevolmente i dati a disposizione dei sistemi di CRM che a loro volta permettono una migliore profilazione del cliente. Per rendere sostenibile questi investimenti, le aziende attive nel settore food dovrebbero cercare di unirsi, consorziarsi a livello locale, di isocrona, per attivare economie di scala. In questo modo, secondo i nostri calcoli, si potrebbe arrivare a un risparmio del 18% per quanto riguarda i costi di gestione del delivery», suggerisce Ardoni. Contemporaneamente si creerebbe una nuova nicchia di mercato in cui la qualità del delivery sorpassa il semplice guadagno di tempo per andare incontro a un consumatore ormai evoluto. «Gran parte dell’abitudine al digitale guadagnata durante il lockdown rimarrà nel tempo. Ci saranno app che non verranno cancellate dal nostro smartphone perché fanno parte del nostro quotidiano. Fra queste, quelle che abilitano l’utente all’acquisto da remoto non più visto come solo strumento tecnologico ma momento di appagamento, gratificazione personale e quindi esperienza», rivela Ardoni. Tutti a sviluppare online? E il fisico? «Potrebbe tornare a essere il regno del locale, del negozio di vicinato a patto che non si arrenda di fronte a questa situazione. Il retail locale è quello che più facilmente può conquistare il cliente che lavora da casa, che sta in pantofole tutto il giorno, che ha cambiato totalmente i propri orari di pasto, ecc. L’importante è approcciare un modello di business nuovo, oltre la porta d’ingresso e la vetrina del proprio punto vendita per aprirsi al digitale e mettere a frutto una logistica di prossimità che non ha eguali».

Svolta pagamenti? Le gift card

Se il retail fisico cerca un nuovo bilanciamento con la proposta online e la ristorazione si sviluppa attraverso un punto vendita che produce solo per il delivery, anche il modo di pagare si smaterializza. Lo sa bene GaetanoGiannetto, presidente e fondatore di Epipoli, gruppo fintech italiano leader di mercato nelle carte prepagate, nei sistemi di engagement e di couponing. «Avremmo voluto festeggiare il ventennale dalla nascita della società, ma abbiamo dovuto rimandare a causa del coronavirus», racconta Giannetto che alle spalle ha diverse esperienze nel mondo retail e della grande distribuzione. Attraverso un ecosistema di circa 250 prodotti «dalla A di Amazon alla Z di Zalando» in formato gift card, Epipoli rappresenta un osservatorio privilegiato sulle abitudini di consumo degli italiani posizionandosi come cerniera tra fisico e digitale, tra prodotto e pagamento. «Dopo aver creato una categoria merceologica unica nel suo genere, a cui si aggiunge anche la prepagata non ricaricabile Mastercard lanciata ormai otto anni fa sul mercato, ora puntiamo a digitalizzare i prodotti fisici. Un frigo per esempio. Questo non verrebbe più esposto in un punto vendita, ma sintetizzato all’interno di una gift card. In questo modo, l’esercente ha la possibilità di dar vita a uno scaffale infinito che libera nuovi spazi e al contempo permette di alzare il fatturato al metro quadro», rivela Giannetto. In questo modo, anche un piccolo corner all’interno di un centro commerciale può diventare un venditore di prodotti e servizi digitali. Con l’accelerazione tecnologica a cui sono stati sottoposti i clienti italiani c’è stata una presa di coscienza delle potenzialità del digitale, da cui è difficile tornare indietro. Ma che fine fa il retail fisico? «Non scompare, piuttosto si assottigliano le differenze. Con alcune insegne clienti, per esempio, abbiamo creato delle aree di shop-in-shop dove un lineare di 4-5 metri contiene proposte di brand locali, nazionali e internazionali sotto forma di gift card. Un ventaglio di offerta difficilmente proponibile attraverso il classico scaffale ma che, grazie alla tecnologia, trova spazio all’interno del punto vendita e abilita esperienze digitali. Con Nespresso, per esempio, la gift card dà accesso a un sistema di pagamento attraverso quella che in gergo si definisce brand currency; un sistema di engagement che vale sull’intero network», afferma Giannetto. D’altronde, il motto è chiaro: «Digito ergo sum: senza il mezzo digitale il commercio e la distribuzione non riusciranno a tenere il passo della nuova domanda».

N.G.

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