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Distanziamento sociale, smart working e turismo ai minimi termini minano 
la ripresa del segmento away from home, che nel 2020 perderà il 27% 
del giro d’affari. Di grande importanza, dunque, il tema della rinegoziazione degli affitti. Ma intanto lo sviluppo riparte. E cresce ancora l’online

Da settore trainante a comparto in grande sofferenza. Continua l’annus horribilis per il food retail, che, a causa del lockdown prima e del perdurare delle norme di distanziamento sociale, unite a ulteriori fattori come lo smart working e la mancanza di turismo internazionale, si avvia a perdere nel 2020 il 27% del proprio giro d’affari. Queste le previsioni a firma di Fipe-Confcommercio; ma ulteriori indagini dimostrano come anche ad agosto il trend sia stato fortemente negativo: -21,3% (Dati Osservatorio permanente Confimprese-EY).

Parallelamente, gli operatori continuano a investire in servizi soprattutto digitali e alcuni big come Cigierre, KFC, La Piadineria, Doppio Malto e Pizzium hanno ripreso lo sviluppo.

Ma torniamo ai dati e a un tema di grande attualità, il costo dell’affitto dei locali. Le locazioni, stando a quanto dichiarato dalla Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, in questo momento si mangiano il 30% circa dei fatturati dei ristoratori italiani, mentre solo 8 mesi fa, prima del Covid, incidevano per poco più del 10% sui bilanci dei pubblici esercizi. A determinare questa impennata, prosegue Fipe, una flessione del volume d’affari che nel 2020 arriverà a toccare i 24,1 miliardi di euro, a cui non ha fatto seguito una riduzione dei canoni di locazione che “sono rimasti invariati”.

«È evidente che le condizioni economiche che c’erano nel momento in cui sono stati stipulati i contratti sono venute meno – spiega il direttore generale di Fipe-Confcommercio, Roberto Calugi – Per questo servono incentivi fiscali per i proprietari di immobili disposti a ridurre temporaneamente i canoni delle locazioni commerciali. Non solo. È essenziale bloccare l’esecuzione degli sfratti fino a fine 2021 e allo stesso tempo dichiarare improcedibili le intimazioni di sfratto per chi, pur non essendo ancora in regola con i pagamenti, ha provveduto almeno parzialmente a saldare le rate arretrate. Queste richieste le abbiamo inserite tra gli emendamenti al Dl Agosto e sono certo che governo e parlamento faranno di tutto per venirci incontro».

Anche perché in questo momento la situazione è paradossale. «Il mercato delle locazioni commerciali – sottolinea Luciano Sbraga, direttore del Centro studi – sta conoscendo una flessione senza precedenti: chi stipula oggi un nuovo contratto beneficia di canoni più bassi fino al 15% rispetto a un anno fa e questo vantaggio se lo porta dietro per tutta la durata del contratto che solitamente è di 6+6 anni. Chi invece ne ha già uno in vigore, deve misurarsi con la disponibilità del proprietario a rinegoziare. In questo modo si creano imprese di serie A e altre di serie B, con evidenti squilibri di mercato. Da marzo a giugno ristoranti e bar hanno perso in un sol colpo il 67% dei loro fatturati, come è possibile che possano continuare a pagare lo stesso affitto di prima?».

In soccorso dei ristoratori, sottolinea Fipe nella medesima nota, è arrivata la magistratura. Il 27 agosto, infatti, il Tribunale di Roma, in merito a un contenzioso tra locatario e proprietario, ha emesso un’ordinanza che impone a quest’ultimo di ridurre il canone d’affitto del 40% per i mesi di marzo e aprile, in pieno lockdown, e del 20% per i mesi successivi, fino a marzo 2021. Una pronuncia motivata sulla base della sopravvenuta impossibilità del ristoratore di svolgere appieno la propria attività.

Le interviste agli operatori

(Al Bacio, Nordsee – format Go!Fish, Gruppo Ethos, Spontini, Fattorie Garofalo)

 

Francesco Aimi, Ceo di Al Bacio

Francesco Aimi di Al Bacio

Partiamo dalla vostra nuova App, in cosa consiste?
In realtà non è una vera e propria app ma un ERP che arriva dallo smartphone del cliente finale fino al fornitore. È un progetto informatico, che, lato cliente, ha determinate caratteristiche che racconterò, mentre, lato azienda, presenta una parte di gestionale in senso stretto che si collega alla cassa, ecc. Escludendo il back-end, descrivo la sezione rivolta al cliente finale aggiungendo però una premessa: nella fase attuale, sempre più si parla di retail multicanale e questa è proprio la direzione che abbiamo intrapreso. Nel merito, la nostra “app” lavora su due assi. Il primo è di multicanalità in senso stretto, perché chiede al cliente se si trova nel nostro ristorante, a casa o in ufficio. Questa scelta è dovuta al fatto che io non credo nella formula classica del locale che spedisce il cibo a casa esattamente come se questa fosse un tavolo più lontano. Io credo che nella multicanalità ogni canale debba raccontare un pezzettino diverso della storia di un punto vendita. Sfruttando il fatto che cuciniamo tutto a bassa temperatura, soluzione che permette di mantenere intatte le caratteristiche organolettiche, per l’opzione “a casa” abbiamo deciso di far “giocare” il cliente, facendolo sentire – estremizzando – uno chef per un giorno. In questo caso gli facciamo scegliere la combo più opportuna, quando gli arriva il meal kit lo mette in frigorifero e, nel momento in cui vuole consumarlo, può preparare la ricetta ascoltando dei podcast su Spotify. In pochi minuti il piatto è pronto. Tale soluzione prevede quindi una componente di divertimento e la qualità del prodotto rimane alta, come al ristorante.

Per quanto riguarda l’utilizzo pensato per l’ufficio?
In questo caso abbiamo un posizionamento molto chiaro. Il cliente riceve una bowl di estrazione asiatica, quindi un prodotto estremamente sano, pensato per il benessere e che permette di mantenere la concentrazione nonché gli equilibri metabolici corretti durante la giornata.

Qual è, dunque, il secondo asse su cui lavora la App?
Verte sul tema del ludico, che sono convinto sia fondamentale per attrarre i clienti. Nel concreto, attraverso l’App facciamo una seria di domande, profilazioni, diamo divertimento e offriamo occasioni d’uso, in modo tale che il cliente, scorrendo, inserisca informazioni che poi l’applicazione rielabora, attraverso un sistema di AI, restituendogli le proposte più idonee per il momento desiderato. Ci siamo avvalsi dell’intelligenza artificiale perché a mio avviso porta molti vantaggi: agevola il cliente facilitandogli la scelta e rendendo questa più precisa.

Per quanto concerne, invece, l’offerta di prodotti online, come si differenzia da quella fisica del ristorante?
Online non proponiamo solamente i piatti da ristorante, ma anche prodotti che non si trovano nella distribuzione normale: da quelli delle terre libere confiscate alle mafie, ai super food, e ancora a quelli realizzati da cooperative sociali. Quindi c’è innanzitutto un contenuto etico di sostenibilità in senso molto allargato, e poi il cliente ha un ampio spettro di soluzioni coerenti con la nostra marca.
Una soluzione, tale applicazione, che ben si adatta a questo periodo di forte crescita dell’online e di consumi spostati tra le mura domestiche. L’avrei lanciata con gli stessi tempi e negli stessi modi indipendentemente dal Covid, però è ovvio che in questo scenario è diventata molto più appetibile.

Arrivando quindi a vostri locali fisici, al momento ne avete quattro. Sono previste nuove aperture?
Il quinto locale sarà in via Turati a Milano. Abbiamo avviato il cantiere addirittura prima del lockdown e credo che l’apertura al pubblico avverrà tra la metà e la fine di ottobre. La location è molto importante, con una superficie di 300 mq, per cui siamo molto contenti.

Infine, come cambia lo scontrino medio tra on e offline?
Per noi cambia tantissimo: lo scontrino online è tre volte superiore arrivando a una media di 75 euro, contro i 28-30 euro di quello offline, che però si basa su un’altra logica di prodotto.

Vincenzo Vicari, chief operating officer di Nordsee (format Go!Fish)

Vincenzo Vicari di Nordsee (format Go!Fish)

Come si pone questa apertura a Oriocenter rispetto al network internazionale di Nordsee e perché la scelta di sviluppare in Italia?
Nordsee è un’azienda storica in Germania, attiva da quasi 125 anni. Forte dunque di una lunga esperienza nel mondo del pesce, il brand ha pensato di trasmetterla attraverso un concept piccolo ma moderno. E ha deciso di farlo anche in Italia, a dicembre 2019 aveva già aperto in Belgio il primo ristorante con il nuovo format. In realtà avremmo voluto aprire prima questo secondo punto vendita ma il Covid ha bloccato lo sviluppo. La scelta dell’Italia è dipesa dal fatto che è un mercato ricco di brand, anche emergenti, e che il popolo italiano è un amante del pesce. Noi ci stiamo proponendo in maniera un po’ diversa, per alcuni versi disruptive, con un prodotto molto buono e crediamo che i clienti, con il tempo, lo apprezzeranno.

In cosa si distingue la vostra offerta?
Innanzitutto, abbiamo tutti i prodotti a base di pesce, che diversifichiamo in diversi modi: presidiamo gli ambiti dello snack bar, quindi abbiamo i panini, della ristorazione, con preparazioni fritte o al vapore. Questa proposta ci differenzia molto perché spesso gli altri operatori fanno o solo ristorante o solo panini.

Invece, quali sono le caratteristiche dello store per metrature, servizi, ecc.?
Il locale si estende per circa 150 mq tra interno ed esterno, e vi hanno trovato lavoro 11 persone. Come servizio siamo partiti con la modalità classica, che permette di ordinare al banco, poi di sedersi ed essere servito. L’offerta prevede una parte al vapore e un’altra fritta, quindi con un gusto un po’ più intenso, per cui cerchiamo di soddisfare tutti i palati.

Dopo aver subito fortemente la crisi, i centri commerciali stanno recuperando fatturati. Quali le motivazioni di questa scelta?
Quando l’azienda investe non fa mai un azzardo, anche se c’è sempre un margine di rischio. Credo che l’attuale ripartenza rappresenti una buona possibilità, dato che c’è tanta gente che vuole tornare a uscire e riprendere in mano la propria vita; per cui, dare l’opportunità di vedere soluzioni nuove, a mio avviso, rappresenta una cosa positiva. E questo store a Oriocenter è un ottimo esempio per dimostrare che si può andare avanti.

Avete in previsione ulteriori aperture?
Come gruppo sicuramente sì, sia in giro per l’Europa sia nello specifico in Italia. Ovviamente la situazione attuale richiede uno studio ma sono sicuro che il concept si adatterà bene sia ai centri commerciali sia agli ambiti urbani, date le dimensioni non troppo impegnative, dove si potrebbero ampliare servizi con l’home delivery. Le opportunità, di conseguenza, non mancheranno.

Infine, lato logistica, come siete organizzati?
I nostri prodotti di Go!Fish arrivano direttamente dalla Germania. Sono altamente selezionati e dietro c’è un team di lavoro con una forte esperienza anche in termini di rapporti con i fornitori. Ricordo che Nordsee, oltre ad esistere da 125 anni, conta 374 locali per cui la sua esperienza è un forte plus. Ovviamente i prodotti freschissimi come le verdure vengono acquistate in loco.

Beppe Scotti, co-founder e CEO di Gruppo Ethos

Beppe Scotti di Gruppo Ethos

Come si articola il vostro percorso di ripresa?
Il dato generale è che le grandi città a forte vocazione turistica, business o leisure, soffrono tantissimo. Milano, dove contiamo due locali, è decisamente più vuota a causa dello smart working; mentre fuori città, dove abbiamo altri ristoranti, siamo moderatamente ottimisti perché si lavora con i residenti. Per dare dei numeri, fuori Milano performiamo dal 75% all’85%. Su Milano, purtroppo, posso solo dire “no comment”. Questo fenomeno, che riguarda tutte le metropoli in giro per il mondo, è causato dalla digitalizzazione e si sarebbe comunque verificato nel giro di qualche anno. Il Covid è stato dunque un grande acceleratore.

In che misura, invece, hanno inciso le normative sul distanziamento sociale?
I nostri locali sono molto grandi, tant’è che il più piccolo conta 250 posti a sedere, per cui non abbiamo avuto problemi da questo punto di vista. Il vero problema è che, quando c’è stata la ripartenza, le persone non uscivano per consumare pasti fuori casa.

Riprendendo il tema della digitalizzazione, ma parlando dei vostri servizi, quali soluzioni avete implementato?
Da parte nostra, già prima del Covid avevamo avviato importanti processi di digitalizzazione in azienda che interessavano dal back office alla formazione interna. Per cui, in questo contesto, li abbiamo accelerati. Lato cliente, abbiamo messo in pratica soluzioni già presenti, anche in questo caso accelerandole, come il delivery e la possibilità di ordinare dal tavolo. Tuttavia, scemata la fase di emergenza abbiamo reintrodotto il menu fisico – senza togliere quello digitale – perché c’è una parte di clientela, soprattutto quella più anziana, che lo richiede.

Ha accennato al servizio di delivery, quanto incide questa modalità sul totale del vostro fatturato?
Premetto che a breve presenteremo importanti progetti al riguardo, ma al momento siamo presenti nel delivery solo con i nostri brand, che mediamente sono percepiti dai clienti con un posizionamento di prezzo elevato. Di conseguenza siamo meno competitivi e le percentuali sono basse: ante Covid su Milano andavamo abbastanza bene, mentre post Covid, con la città vuota, le transazioni sono ai minimi termini.

Lato sviluppo, quali progetti state portando avanti?
Siamo straordinariamente attivi da questo punto di vista. Lavoravamo già ad alcune iniziative pre Covid che in questo periodo sono state accelerate. In particolare, la nostra divisione di consulting sta portando avanti diverse consulenze nel mondo della ristorazione e del retail, dato che molte aziende si sono accorte di non avere un controllo di gestione, un controllo dei processi o ancora di non avere costi certi, per cui si sono rivolte a noi per chiederci degli assessment e la riprogettazione dei processi interni. Inoltre diamo consulenze in ambito sviluppo nel mondo agricolo e sottolineo che, dopo il lockdown, abbiamo rilevato un’azienda agricola con agriturismo. E ancora, realizziamo tante consulenze nei settori agri-food e agribusiness. Dopodiché, abbiamo anche una divisione che si occupa di formazione. L’unica nostra attività attualmente in stand-by è quella dell’organizzazione di eventi per le aziende. E non dimentico che siamo anche produttori di birra, caffè e basi di pizza.

Infine, qual è la sua opinione circa il pacchetto di aiuti messo in campo dal governo per sostenere il settore e i consumi in generale?
Senza entrare nel merito del dibattito politico, posso dire che sia il settore del food&beverage sia quello alberghiero hanno sofferto molto. Ciò che mi lascia perplesso è il fatto che si sta gestendo l’emergenza senza progettare il futuro, mentre tutto il mondo dell’incoming e del turismo, che prima della crisi valevano il 13% del Pil, hanno forti necessità da questo punto di vista. È fondamentale, a mio avviso, farci trovare pronti quando finirà questa situazione, per essere in grado di intercettare i flussi e valorizzare il grande patrimonio che abbiamo.

Massimo Innocenti, CEO e fondatore di Spontini Holding

Massimo Innocenti di Spontini Holding

Come avete affrontato la fase di lockdown e quella successiva?
Partiamo da un dato essenziale: nonostante i proclami sentiti durante il lockdown e successivamente, non sono arrivati concreti aiuti pubblici né alle aziende né alle persone. Per cui ci siamo dovuti finanziare andando dagli istituti di credito. Parallelamente, abbiamo attivato la cassa integrazione per la maggior parte dei nostri dipendenti, ma anche quella è stata pagata con forti ritardi lasciando le famiglie in gravi difficoltà. In ogni caso, abbiamo sfruttato tutte le possibilità a disposizione e ad oggi abbiamo ancora il 40% del personale in cassa integrazione. A livello di operatività, abbiamo sempre portato avanti l’attività di delivery con i locali in centro a Milano, garantendo un minimo di servizio al nostro pubblico, poi, quando è stato possibile attivare l’asporto, abbiamo aperto i nostri cinque store milanesi. Dalla fine di maggio, circa una settimana dopo rispetto al 18, abbiamo riaperto quasi tutto, soprattutto nei centri commerciali. Tuttavia abbiamo introdotto delle nuove modalità operative, che spaziavano dalla riduzione dell’orario al giorno di chiusura settimanale, che ad oggi è rimasto soltanto negli Spontini classici su strada. Questo per un puro calcolo economico. Sottolineo che, solo a inizio settembre, sono arrivati dagli istituti di credito le prime tranche dei finanziamenti a tassi agevolati stabiliti dal Cura Italia. Prima del Covid, ci tengo a precisare, eravamo un’azienda in fase di crescita e sviluppo, come dimostra anche l’acquisizione degli otto locali dei nostri affiliati, per cui dal punto di vista finanziario eravamo abbastanza esposti. E ora, di conseguenza, lo siamo ancora di più. La nuova liquidità, tuttavia, ci permette di traghettare il 2020 e di pagare parte degli arretrati. Da questo punto di vista specifico che tutti o quasi i proprietari di centri commerciali ci hanno scontato percentuali minime sugli affitti, anche rispetto al periodo di lockdown. E ovviamente, senza flussi di cassa, l’affitto ha un impatto molto forte. L’unica proprietà lungimirante è stata quella di Scalo Milano che ha tolto il canone fisso sino a fine anno, lasciando solo la quota variabile. Proprio quello di Scalo è uno dei nostri locali più performanti.

Ad oggi quanti ristoranti Spontini sono aperti e quali sono i vostri flussi di cassa?

A giugno, il primo mese intero dopo il lockdown, non abbiamo fatturato neanche il 50% del peggior mese del 2019 che era febbraio. A luglio abbiamo registrato una crescita del 13% su giugno. Ad agosto un +4% su luglio. E nelle prime tre settimane di settembre, rispetto alle prime tre settimane di agosto, un altro +5%. È dunque una crescita piccola ma costante, che potrebbe portarci all’obiettivo dell’80% a dicembre, che sarebbe un dato importante. In questo momento sono aperti 24 negozi su 28. Quattro sto pensando seriamente di cederli. Al riguardo faremo attente valutazioni da qua sino a fine anno. Sottolineo ancora che alcuni negozi sono particolarmente penalizzati, come quelli del travel, sia in aeroporto che in stazione. E la mancanza di turisti incide anche sui locali in centro: quello di via Santa Radegonda vicino al Duomo, dove si mangia in piedi, fattura il 70% in meno. E ancora, sino a poche settimane fa, mancavano gli studenti, mentre oggi continuano a mancare gli impiegati: in piazza Duca D’Aosta, di fronte alla stazione, il nostro locale soffre all’ora di pranzo a causa dello smart working. Poi abbiamo dei punti vendita vicino ai cinema, su tutti quelli di Bicocca e Sarca, ma questi non fungono da attrattori perché mancano i titoli. O ancora, al nostro locale in zona San Siro viene a mancare il bacino delle 50mila persone e più che prima del Covid uscivano dallo stadio. In sintesi, tutti i driver che la città di Milano offriva prima del Covid e che speriamo tornerà ad offrire, ad oggi mancano, con un impatto devastante.

Parlando, infine, di sviluppo retail, quali erano i vostri programmi per quest’anno e, concretamente, come cambiano le vostre prospettive per il prossimo futuro?
Pre Covid il nostro piano di sviluppo era basato sul travel, con stazioni e aeroporti, sui centri commerciali, i parchi commerciali e gli outlet, e poco sulle città. Questo rimane un discorso valido, perché il travel è solo rallentato e ripartirà così come alcuni centri commerciali rimangono importanti, ma per il prossimo futuro puntiamo sulla formula degli Spontini local e forse su qualche dark kitchen per penetrare nuovi mercati con il delivery. In sintesi, per tutto il 2020 avremmo dovuto fare cinque aperture, tre in Italia e due all’estero, ma ne faremo soltanto una a fine anno per dare un segnale tangibile al mercato. Sarà a Segrate, lungo la Cassanese. Nel 2021, invece, vorremmo realizzare almeno un paio di aperture nella periferia milanese con la formula dello Spontini local, dove credo ci sia un potenziale enorme. Poi ci sono tre centri commerciali importanti, Il Centro, CityLife Shopping District e Fiordaliso, con cui continuiamo a parlare e per i quali, qualora capitasse l’occasione, potrei fare ulteriori investimenti. Invece, se nei prossimi anni riusciremo a trovare un fondo di investimento, un partner industriale che crede nel brand, allora i progetti di crescita potranno accelerare.

Marco Garofalo, responsabile business development di Fattorie Garofalo

Marco Garofalo di Fattorie Garofalo

Come si struttura la presenza retail di Fattorie Garofalo?
Attraverso la società HFG, fondata nel 2008 e con un fatturato di circa 15 milioni di euro, gestiamo un network di 14 punti vendita in Italia e all’estero in cui operano 140 dipendenti. Gli store sono concentrati in aeroporti, stazioni e centri commerciali. In particolare, il canale travel retail raggruppa 9 punti vendita di cui due in Gran Bretagna all’interno dell’aeroporto di Luton.

Dalla produzione alla somministrazione, qual è il valore aggiunto di questa filiera?
Fattorie Garofalo è un gruppo agroalimentare a forte integrazione orizzontale e verticale, specializzato nella produzione di carne di bufalo e di mozzarella di bufala campana Dop, con un fatturato di 100 milioni di euro e 400 dipendenti. Grazie a sette allevamenti per 12mila capi e tre aziende industriali, lavoriamo carne di bufalo e 38 milioni di litri di latte bufalino all’anno al punto da rappresentare una quota di mercato della Mozzarella Dop del 20% venduta sia con il nostro brand sia in co-packing in Italia e all’estero in oltre 40 paesi. Tutti prodotti Made in Italy, quindi, che rappresentano il valore aggiunto della nostra proposta retail: chi entra nei nostri negozi o bistrot riconosce subito l’originarietà e la qualità del prodotto.

Come si caratterizzano 
i vostri format?
Essenzialmente sono due: il Mozzarella Bistrot e il Mozzarella To Go. Del primo format gestiamo otto punti vendita; del secondo, sei. La differenza fra i due, al di là della metratura che può variare dai 110-115 mq ai 300 mq, risiede nella tipologia di servizio. Attraverso il Mozzarella Bistrot offriamo un menù all day long con prodotti a base di bufala: dalla caprese alla pizza, passando per il panino, la pasta e le brioche. Per quanto riguarda i Mozzarella To Go, invece, proponiamo una selezione di prodotti porzionati e confezionati. In entrambi i casi, a livello di layout, cerchiamo di riprodurre l’ambiente del caseificio, della latteria tradizionale. Quindi: ambienti bianchi, utilizzo di pensili in acciaio e sedute in legno. In termini di servizio, abbiamo abbracciato la svolta digitale sostituendo i classici menu su carta con quelli fruibili tramite QR code e ci siamo affidati a Just Eat per le operazioni di delivery.

Qual è il profilo del vostro cliente? E lo scontrino medio?
Soprattutto a livello travel retail, il cliente che entra nei nostri store è un passeggero medio-alto spendente che cerca la qualità e un tocco di italianità. Caratteristiche molto apprezzate all’estero dove le nostre proposte, griffate dalla denominazione di origine protetta, sono sinonimo di tradizione, esperienzialità e territorialità. Non a caso lo scontrino medio si aggira sui 6 euro per il format Bistrot e sui 14 euro per quello To Go. Ricordo inoltre che siamo presenti anche nelle maggiori catene GDO e nel canale HoReCa.

Italia-estero: quali sono le differenze in tema di sviluppo? E quali sono i prossimi progetti?
A differenza della nostra attività sui mercati esteri, quello italiano si contraddistingue per una forte competitività; soprattutto in termini di prezzo. Per quanto riguarda i prossimi progetti di espansione, invece, il 15 dicembre sarà la volta del nuovo punto vendita all’interno del centro commerciale I Gigli di Firenze con un’immagine completamente rinnovata mentre, per quanto riguarda l’estero, siamo focalizzati sul mercato britannico; nel canale sia aeroportuale che shopping center.

Nel 2020, con l’emergenza Covid e il contestuale lockdown nazionale, è scoppiato il tema canoni. Come lo avete gestito? Differenze rispetto ai canali in cui operate?
Il tema è ancora caldo. Non tutti hanno reagito in egual misura. Alcuni aeroporti, per esempio, hanno deciso di troncare il canone nel periodo di lockdown, altri hanno abbassato la quota del minimo garantito. Certo, dall’inizio del lockdown per noi è parso logico che gli affitti dovessero bloccarsi così come si è bloccato il mercato del fuori casa, ma abbiamo comunque dovuto sederci al tavolo con i landlord. E con alcuni di loro, soprattutto nei centri commerciali, stiamo ancora negoziando per trovare una soluzione alle rate dei mesi di inattività.

Andrea Penazzi

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