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Restando nel novero delle previsioni, per il 2021 si registra qualche segnale di cauto ottimismo sul fronte retail. L’analisi annuale del Centro studi Confimprese sui piani di apertura di nuovi esercizi commerciali evidenza, infatti, una stima di 882 punti vendita in arrivo a fronte di 496 chiusure, dovute non solo al Covid ma anche all’eccessiva onerosità delle location.

I piani di sviluppo si concentrano nell’abbigliamento, 238 negozi, e nella ristorazione con 191 locali.
Sul fronte consumatori, invece, l’Associazione sottolinea che per 2 famiglie su 3 l’impatto della crisi sul reddito si conferma negativo o drammatico

Più nel dettaglio, le 496 chiusure rappresentano una flessione del -3,8% rispetto al 2020, ma le 882 aperture costituiscono un incremento ben superiore, pari al +6,7% rispetto allo scorso anno. E di questo dato, 320 nuovi store saranno diretti e 562 in franchising, che si conferma la formula distributiva maggiormente apprezzata dagli operatori. Il saldo netto è dunque positivo, pari a 386, con una percentuale molto alta di imprese, pari a oltre l’85% del campione analizzato da Confimprese, che conferma l’apertura di nuovi punti vendita.

«La crisi pandemica si è portata via il 50% delle aperture – afferma Mario Resca, presidente Confimprese –. Le misure restrittive adottate sinora nel corso dell’emergenza significano 117 giornate di chiusura e si sono tradotte in una contrazione del fatturato per ciascuna azienda nell’ordine del -40% rispetto al 2019, con una conseguente diminuzione del fatturato annuo complessivo pari a 55,64 miliardi e una perdita proporzionale del gettito tributario stimabile in 11-12 miliardi di euro. Tuttavia, la buona notizia c’è ed è confermata dall’arrivo di 882 nuovi punti vendita, segno che il retail ha voglia di ripartire e di intercettare il desiderio di ritorno alla normalità degli italiani».

Chiusure: le motivazioni
Un’azienda su 2 dichiara di chiudere punti vendita nel corso del 2021. Ma se il 34% punta il dito contro l’emergenza Covid e i mancati ricavi, il 26,8% lamenta l’eccessiva onerosità delle location. Una spina nel fianco, quest’ultima, su cui Confimprese – precisa la nota stampa – si è battuta nell’anno della pandemia siglando due accordi consecutivi con il gruppo Finiper, che ha garantito alle imprese associate sia la sospensione dei canoni d’affitto per due mesi nel 2020 e altrettanti nel 2021, sia un significativo contenimento delle spese di gestione nei centri commerciali di sua proprietà. L’analisi evidenzia, inoltre, che il 24,4% dichiara la chiusura a seguito di un processo di razionalizzazione della rete già in corso da anni, il 7,3% indica come motivazione la scadenza del contratto con il franchisee, mentre il 2,4% indica la scadenza del contratto dell’immobile commerciale.

L’analisi per settori merceologici
Nell’analisi per settori merceologici, l’abbigliamento è al primo posto per nuove aperture con un totale di 238. Seguono la ristorazione, con una stima di 191 nuovi locali, e il comparto casa e complementi d’arredo con 133. Nel segmento salute e benessere apriranno 38 punti vendita, i nuovi store nell’elettronica di consumo sono 37, nei servizi 33, nell’entertainment 29, altro non food (immobiliare e bricolage) 183. Quanto alla divisione tra aperture dirette e in franchising, il quadro è netto: nei settori abbigliamento e accessori, casa e complementi di arredo e immobiliare prevale la formula franchising, mentre nella ristorazione si aprono punti vendita diretti.

L’analisi per aree geografiche

Un ultimo segnale di rilievo sui piani di apertura/chiusura arriva dall’analisi per aree geografiche, in cui si evidenzia un forte divario tra il Nord e il resto dell’Italia. Un’evidenza della forbice che da sempre divide il Paese anche nello sviluppo delle reti distributive.
Il 46,4% dei nuovi negozi in arrivo è concentrato al Nord, il 27,2% al Centro e il 26,3% al Sud e Isole. Analogamente in termini di chiusure, la metà, pari al 51,1%, si è registrata al Nord, il 27,4% al Sud e Isole e il 21,5% al Centro.

Il comportamento dei consumatori
Le rilevazioni sul fronte consumatori del Termometro Innovation Team-Cerved per Confimprese segnalano, come già accennato, che l’impatto della crisi sul reddito si conferma negativo o drammatico per 2 famiglie su 3. Dato che si è mantenuto pressoché stabile negli ultimi mesi. Rimane elevato anche il pessimismo sui prossimi mesi: il 38,7% si dichiara più sfiduciato rispetto a un mese fa mentre si allontana sempre di più la prospettiva di un ritorno alla normalità in tempi brevi. Solo il 18,9% si aspetta che questo accada entro la fine dell’anno mentre per 6 su 10 una vita simile a quella pre pandemica ci sarà non prima del 2022.

Gli acquisti prima del Covid vedevano il centro città come luogo elettivo per ristoranti e centri di bellezza, frequentati sempre o abbastanza spesso rispettivamente dal 55,3% e dal 47,1% delle famiglie. I centri commerciali erano invece scelti per lo shopping sia per beni non durevoli come abbigliamento, accessori, oggettistica per la casa sia per quelli durevoli. Dall’inizio della pandemia è calata in maniera importante la frequentazione dei punti di vendita fisici: 1 su 3 non è mai andato al ristorante e non ha fatto acquisti di beni durevoli mentre circa il 20% non ha mai fatto acquisti di abbigliamento o altri beni non durevoli in negozio. Il calo dei consumi è in parte attutito dal ricorso all’online, soprattutto per abbigliamento e accessori, ristoranti ma anche mobili ed elettronica.

Cambiano infine anche le abitudini legate alla permanenza nei negozi: il 72,9% si ferma per meno tempo di prima e solo il 18,5% ha mantenuto le abitudini precedenti. La sensazione di sicurezza e il rispetto delle norme anti Covid emergono come driver importanti nella scelta di dove fare gli acquisti, affiancandosi al più tradizionale rapporto qualità prezzo.

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