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I venti di guerra e l’incertezza frenano gli acquisti. Così i consumatori rivedono al ribasso la spesa, puntando sempre più sulle formule di convenienza.

A marzo, il tasso di inflazione in Italia ha fatto un ulteriore balzo in avanti, portandosi al 7,5%. Già a febbraio i prezzi al pubblico dei beni alimentari erano cresciuti tra il 3,2% e il 6,9% rispetto all’anno precedente. Anche i prodotti e servizi dedicati alla cura della casa e della persona costano oltre il 4% in più dello scorso anno.

E per le aziende retail i costi da sostenere aumentano. “Le spese operative per le imprese sono lievitate a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia”, spiega Andrea Petronio, Senior Partner Bain & Company. “In Italia, l’energia regolamentata è cresciuta a febbraio del 94% a/a, quella non regolamentata del 31%. A marzo abbiamo registrato un ulteriore rincaro del 12,5% rispetto al mese precedente. Anche la carenza di manodopera e l’aumento dei salari nei Paesi più avanzati, meno in Italia, hanno contribuito a incidere sull’inflazione. È vero che dimensione e severità dell’impatto per i retailer sono ancora da comprendere del tutto, ma in questo contesto, le aziende stanno riscontrando difficoltà nel contenere l’impatto sui consumatori finali”.

A rischio, quindi, la capacità e la tenuta di spesa e i consumatori devono vedersela con prezzi sempre più alti, una forte contrazione dei salari reali soprattutto in Italia e un calo di fiducia a livello globale post-pandemia.

Frenano i consumi

Queste sfide sono ulteriormente esacerbate dall’instabilità dovuta alla crisi russo-ucraina: il prezzo del Brent è aumentato del 44%, i ritardi nella filiera si sono aggravati (con un aumento del 36% del tempo di permanenza dei containers nei porti europei e una significativa tensione sulla manodopera che si occupa delle spedizioni). La penuria di fertilizzanti e gli spostamenti della popolazione europea determineranno ulteriori sbilanciamenti dell’equilibrio tra domanda e offerta per i prodotti agricoli chiave, come il grano.

“In questo scenario, i consumatori rivedranno ulteriormente al ribasso la propria spesa, orientandola sempre più verso formule di convenienza”, continua Petronio. “Per alcune categorie discrezionali e di natura più voluttuaria, come cibo fuori casa, entertainment, abbigliamento, il rischio di una riduzione della spesa è più concreto. Rischio che impatterà su tutti i settori merceologici nel caso di una recessione che non è per nulla da escludere, visti i livelli di tensione sui prezzi e sulle scarsità di materie prime ed energia”.

Come reagire?

Esistono, però, alcune linee guida che – secondo l’azienda di consulenza Bain & Company – i retailer possono applicare nel breve e nel medio termine. “Nell’immediato, i retailer possono individuare e aggiornare lo spazio di manovra possibile sui prezzi e di riduzione dei costi di acquisto”, suggerisce Petronio. “Questo è possibile: aumentando il monitoraggio dei prezzi e della percezione dei clienti, evitando tassativamente i “prezzi fuori mercato” sui prodotti chiave ad alta visibilità, valutando al meglio il trasferimento dei rincari delle materie prime sui prodotti acquistati per poter avere argomentazioni solide rispetto ai fornitori, individuando e indirizzando i consumi su alcuni prodotti, per massimizzare il margine e implementando senza indugio tutte le iniziative possibili per ridurre attività non indispensabili: analisi recenti dimostrano che vi sono margini di recupero di efficienza mediamente compresi tra il 5 e il 10%”.

Si dovranno, poi, pianificare interventi visibili e convincenti per salvaguardare il portafoglio clienti e approfittare per conquistarne di nuovi, proseguire nell’ottimizzazione dei costi rimuovendo tutto quello che non è imprescindibile. Non solo: le aziende dovranno promuovere ulteriormente i prodotti a marchio proprio o esclusivi, aumentando i prezzi dei prodotti a bassa elasticità, proteggendo i margini e salvaguardando la leadership di prezzo sui top sellers key value items. E infine, queste realtà dovranno ottimizzare l’investimento promozionale, evitando di scontare laddove non ci sia un upside tangibile.

“Nel medio termine, occorrerà semplificare e ristrutturare gli assortimenti attorno a una proposta per il cliente ancora più focalizzata, di valore e senza sprechi. Sarà necessario localizzare quanto più possibile le forniture accorciando la supply chain. Inoltre, saranno imprescindibili maggiori collaborazioni di scala con fornitori e partner strategici e privilegiare investimenti in strumenti, tecnologie e abilitatori per accelerare la trasformazione energetica, digitale e sostenibile. Insomma, la ricetta per affrontare queste discontinuità è varia e articolata, rispetto al proprio punto di partenza e al grado di severità degli impatti che si stanno materializzando. Tutto ciò”, conclude Petronio, “evitando di catapultare la propria organizzazione e le proprie risorse in una ricerca affannosa di sole soluzioni con impatto immediato, prescindendo da una doverosa riflessione di medio termine che valuti i diversi scenari possibili”.

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