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Ci mettiamo una fiche: di W.o.k. – World Oriented Kitchen sentiremo parlare ancora a lungo. Nello sviluppo di una catena il prodotto e il formato non sempre bastano –  servono spalle robuste – però aiutano. Abbiamo provato il ristorante di questa catena posizionato nella Stazione Centrale di Milano e ne siamo usciti con una valutazione positiva, pur con qualche riserva, di cui diremo.

Prima però vale la pena di spendere due parole su W.o.k.. Il format di ristorazione asiatica (soprattutto thailandese) nasce nel travel retail e in particolare nella Stazione Termini di Roma. All’epoca i due fondatori di Sviluppo Wok Italia srl, l’azienda proprietaria del format, Giuseppe Amati e Alessandra Bognanni, avevano convinto Grandi Stazioni a farli entrare accettando il locale più defilato di tutti. Eppure era andata molto bene. Sono seguite le repliche a Milano Centrale e in tre centri commerciali: prima nel Porta di Roma, poi, quest’anno, nell’Euroma2 e presso Le Vele di Cagliari. Era stata anche annunciata (si veda r&f di maggio 2012) un’apertura nell’aeroporto di Fiumicino ma poi non se n’è più saputo nulla.

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Anche il locale di Milano Centrale è estremamente periferico: bisogna volerci andare perché i flussi principali non lo attraversano. C’è solo un piccolo cartello presso una delle uscite a segnalarlo. Ci si stupisce quindi un po’, entrando, a vedere che i circa 50-60 posti disponibili sono quasi tutti occupati. L’esterno è un po’ dimesso, quasi inglobato dalle vetrine di Zara. C’è però una grande insegna con il logo di W.o.k. e una vetrina trasparente che lascia intravedere l’arredamento interno. Questo è molto cambiato rispetto a un tempo. Sono rimasti i pannelli per i menu, apprezzabili per la chiarezza: per ogni piatto ci sono diversi disegni che rappresentano gli ingredienti.

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È rimasta uguale anche la cucina a vista, dietro il bancone, sull’onda di format asiatici storici come il Wagamama, punto di riferimento della catena. Quello che è completamente cambiato è lo stile: minimalista prima, è diventato caldo e barocco dopo il restyling di Costa Group. Dove c’erano tavolini bianchi con sgabelli di design ora ci sono dei tavoli finto-rustici con sedie volutamente rovinate. Le pareti sono dipinte come se non fossero intonacate. Sul bancone, nei pressi dell’entrata, c’è una tettoia con appesi dei manufatti etnici di legno. Sullo stesso bancone, davanti alle macedonie esposte in vetrina, sono sparsi delle arachidi e del peperoncino. Per chi ne ha una certa familiarità, è lo stile Costa al 100 per cento: commistione di rustico e moderno, di povero e di pregiato, con lo scopo di raccontare una storia, per quanto fittizia possa essere. Che giudizio dare? Non spetta a noi una sentenza ma l’impressione è che il locale sia molto più caldo e amichevole di prima.

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Voto discreto alla pulizia: sarebbe stato maggiore se il tavolino a noi vicino fosse stato pulito. I vassoi si svuotano come nei fast food e un controllo dopo l’uscita dei clienti sarebbe necessario. Discreto anche il comfort, perché nei tavoloni comuni da sei posti si sta strettini, soprattutto se qualcuno ha le valigie con sé.

Il servizio ci è parso uno dei punti forti. L’addetta vendite saluta cortesemente, dà delle spiegazioni a nostre richieste, non fa una grinza quando chiediamo di cambiare l’ordinazione. La coda è molto poca, nonostante il ristorante sia pieno. Da segnalare il cercapersone che avvisa quando il piatto è pronto. Lo avevamo visto solo all’estero in ambienti molto più grandi. Qui forse non sarebbe necessario ma ha il pregio di far rilassare i clienti e soprattutto di non far pesare l’assenza di un servizio al tavolo.

Quanto al prodotto, promossi i noodles. Sono proposti in diverse modalità, ne abbiamo assaggiati di due tipi, non piccanti. Non ci avventuriamo in giudizi comparativi con altre cucine thailandesi, ma senz’altro erano saporiti e con ingredienti di buona qualità. Giudizio meno entusiasta per i dim sum, arrivati tiepidi e con rapporto qualità/prezzo inferiore. Per intenderci: un cartone di noodles abbondanti costa dai 5,50 euro ai 6,90 euro, più o meno la stessa cifra di quattro ravioli al vapore.

Quanto all’offerta, il limite maggiore è l’assenza di un menu che comprenda un piatto principale, uno secondario (dim sum o insalate) e bevande. Manca anche un secondo piatto sostanzioso. Ma su questo punto pesano probabilmente due fattori: la natura veloce del pasto medio (non a caso il format nasce per il travel) e il fatto che la clientela sembra composta per lo più da lavoratori e soprattutto lavoratrici in pausa pranzo, che a rimpinzarsi non pensano proprio.

Probabilmente mirando a questo target femminile, tipicamente più attento agli aspetti salutistici e dietetici, presso W.o.k. ci sono tanti elementi, come i cartelli che sottolineano l’assenza di grassi idrogenati e di Ogm negli alimenti. Contenitori per noodles, piatti e stoviglie sono tutti biodegradabili, in cartone o plastica bio. In questo modo da lavare non c’è quasi nulla.

In generale, possiamo concludere che il rapporto qualità prezzo è discreto, l’ambiente è buono e l’adeguatezza alla location, ossia a una stazione, è la carta migliore del locale.

L’articolo completo e la relativa tabella si possono trovare sul numero di dicembre 2012 di r&f. Sfoglialo ora!

Fabrizio Patti

ha collaborato Claudio Merlo