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Sul numero di aprile abbiamo ripreso il tema della deregulation nel campo delle aperture degli esercizi commerciali, determinata a fine 2011 dalla conversione in legge del decreto Salva Italia. Dopo aver interpellato i gestori degli shopping center, ora è il turno dei commercianti. Che alzano la voce

Evidentemente qualcosa è andato storto, non tanto guardando ai fatturati, che inevitabilmente risentono della crisi dei consumi, ma nel rapporto fiduciario tra proprietà/gestione e tenants. Il cortocircuito si è creato nella – presunta – mancanza di dialogo tra i primi e i secondi, che avrebbe determinato una scollatura quando si è trattato di decidere come affrontare questa nuova fase di mercato: in sintesi quando si è trattato di decidere in quante e in quali domeniche e in quali festività mantenere aperti i centri commerciali. E se per taluni retailer i risultati di questa imposizione – questo il sentiment di alcune aziende – sono tutto sommato accettabili, per altri il saldo è negativo. E non mancano le critiche.

Dopo aver approcciato sul numero di aprile 2012 le possibili ricadute del decreto Salva Italia in tema di commercio, entrato in vigore il primo gennaio dello stesso anno, ed essere ritornati sull’argomento 12 mesi dopo, con la testimonianza dei gestori dei centri commerciali, sul numero di giugno abbiamo deciso di dare voce ai retailer che operano negli shopping center.

Abbiamo quindi interpellato due tra le principali associazioni di categoria, Confimprese e Assofranchising, e sentito alcuni player, selezionando un rappresentante per le diverse categorie merceologiche: hi-tech, giochi, abbigliamento e food.

Se per certi versi i feedback ottenuti fanno storia a sé, per altri evidenziano un’opinione diffusa: la mancanza di una concreta collaborazione con le proprietà e i gestori dei centri commerciali nel decidere il calendario delle aperture; il forte peso specifico della Gdo, e quindi dell’ipermercato, nel determinare la scelta finale; lo scarso coraggio dei gestori nel chiudere di domenica i centri commerciali più piccoli; e infine l’aumento sensibile dei costi di gestione, che ha limitato, azzerato o addirittura portato in terreno negativo il conto economico dei punti di vendita. La soluzione a questi problemi: la flessibilità degli orari nei giorni feriali.

Più conciliante l’opinione di Confimprese e addirittura entusiasta quella di Assofranchising, rispetto alla gestione degli shopping center condotta nel 2012: l’anno della sperimentazione. Le due associazioni confermano, senza se e senza ma, il giudizio positivo sul principio di liberalizzare i giorni e gli orari di apertura.

Andrea Penazzi

foto 3Maurizio Oprandi, real Estate director,  e Giacomo Guida, store operations director, presso GameStop Italia: «Esclusi dalle decisioni, a vantaggio dell’iper»

Al momento di quanti negozi si compone la vostra rete in Italia?

GameStop in Italia conta 440 punti vendita a gestione diretta, dei quali 349 (ovvero il 79%) all’interno di centri commerciali.

In seguito all’entrata in vigore della legge sulle liberalizzazioni quante sono aumentate, in percentuale e in assoluto, le vostre giornate di apertura nel 2012?

A parità di rete l’incremento dei giorni di apertura nel 2012 ammonta al 5% rispetto all’anno precedente, passando da circa 344 a 360 per punto vendita. Ma c’è un dato ancor più rilevante: dal 2011 al 2012 abbiamo rilevato un aumento del 50% delle domeniche di apertura nei centri commerciali, passate da 32 a 48. Mentre per una precisa scelta strategica abbiamo deciso di non coinvolgere in tale regime di liberalizzazione i nostri street stores, cioè il 17% del nostro store count.

Con le aperture domenicali e nei giorni festivi estese tutto l’anno quanto sono aumentati i costi di gestione?

È innegabile che un così elevato aumento degli orari di operatività dei nostri punti vendita racchiude in sé un costo indiretto, non facilmente quantificabile, riconducibile alla maggiore usura delle componenti del negozio, a cui vanno connessi i relativi oneri di manutenzione. Diversamente, per quanto concerne il personale, abbiamo stimato in un 5,1% l’incremento del costo complessivo che la politica delle liberalizzazioni ha determinato per la nostra Azienda.

Tra maggiori costi e ricavi il saldo è in terreno positivo o negativo?

Purtroppo, da un’approfondita analisi sull’anno fiscale 2012 (feb 2012 – gen 2013) è emerso che la liberalizzazione degli orari non ha affatto portato benefici in termini di profitto. Sicuramente, dal punto di vista del cliente, questo risulta essere un miglior servizio che però non si traduce in maggiori acquisti. Piuttosto abbiamo rilevato un cambio nelle abitudini dei consumatori, i quali hanno spostato le proprie visite dai giorni feriali e, soprattutto, dal sabato alla domenica. Detto questo, possiamo affermare che il rapporto sbilanciato tra costi e ricavi ha determinato un impatto negativo sull’EBIT pari al -5,3 per cento.

Nel merito della decisione, presa dai gestori dei centri commerciali, di aprire tutti i giorni, siete stati interpellati?

Ci duole evidenziare che quasi in nessun caso siamo stati coinvolti dalle proprietà dei centri commerciali nelle decisioni da prendere in relazione alla liberalità che il decreto “Salva Italia” ha fornito agli operatori del commercio. Siamo consapevoli che è sostanzialmente impossibile, per chi è chiamato alla gestione dei mall, affrontare un tema tanto delicato coinvolgendo nella scelta le diverse centinaia di brand che operano nelle gallerie commerciali. Detto questo ci è parso che la logica che ha determinato in una direzione così aggressiva la maggior parte dei landlord sia quella del “non restar chiusi”, per non favorire il centro commerciale concorrente che può restare aperto, probabilmente considerando soprattutto gli interessi delle ancore alimentari che spesso coincidono con quelli delle proprietà. Non tenendo nel dovuto conto la ricaduta negativa che sui retailer tale impostazione avrebbe causato.

I dati 2012 vedono quasi tutti i comparti merceologi cedere diversi punti di fatturato, ma anche il footfall non è migliorato. In tutto questo i gestori di CC si “difendono” dicendo che senza le domeniche di apertura i fatturati sarebbero andati decisamente peggio. Qual è la sua opinione?

Abbiamo assistito proprio di recente agli Stati Generali del Commercio in Regione Lombardia, occasione in cui il Cobolli Gigli di Federdistribuzione ha ampiamente e approfonditamente argomentato tale tesi, riscontrando però una contestazione veemente di alcuni rappresentanti delle Ascom locali. Noi riteniamo che la possibilità di estendere a tutte le domeniche l’apertura dei negozi sia condivisibile, ma se supportata da un’analisi specifica sulla fattibilità caso per caso. Per essere chiari ci sono centri commerciali di grande importanza, che già godevano di molte domeniche straordinarie, che senza dubbio hanno ricevuto un beneficio dall’incremento dei giorni di apertura. Non possiamo dimenticare, d’altra parte, che la maggior parte dei nostri negozi è collocata all’interno di strutture commerciali di secondo o terzo livello, nelle quali l’estensione oraria ha determinato soltanto un aggravio di costi e una redistribuzione dei fatturati, escludendo dunque qualsiasi reale valore aggiunto. In questi casi, che costituiscono la maggioranza, riteniamo che dovrebbe essere rivista la politica degli orari di apertura, privilegiando la domenica se necessario ma riducendo la fascia oraria negli altri giorni.

Come vi siete organizzati per aprire tutte le domeniche?

Va specificato che la nostra è una catena solo di negozi diretti, nei quali ad oggi lavorano circa 1.700 dipendenti. Dal punto di vista dell’organizzazione ci siamo mossi andando ad aumentare le ore del personale (aumenti di ore contrattuali e/o nuove assunzioni) nei nostri store in funzione della copertura prevista per ogni singolo punto vendita. Infatti ogni negozio ha un budget di Payroll che nasce da due parametri chiave: la copertura media oraria che uno store deve avere in funzione del fatturato espresso e il fatturato medio per ora lavorata. Ciò significa che un aumento delle ore, se non seguito da un incremento più che proporzionale del fatturato, riduce significativamente la produttività oraria: in altri termini si perdono soldi. Ed è esattamente ciò che è successo nel 2012. Se a questo uniamo il fatto che tutte le altre linee di costo non possono essere diversamente gestite (per esempio un negozio aperto non può avere le luci spente), risulta consequenziale che le possibilità di ottimizzazione dei costi è pressoché nulla.

Complessivamente lei è soddisfatto di come è stata portata avanti questa fase da parte dei gestori dei centri commerciali?

La nostra posizione, in tutte le occasioni di confronto – istituzionali e non – è sempre stata di trasparente insoddisfazione per non essere stati interpellati o per lo meno ascoltati nel momento in cui sarebbe stato auspicabile poter esprimere il nostro parere, essendo operatori di uno dei settori più colpiti dalla recessione. Ogni azienda, ogni retailer, ogni imprenditore, tutti  quanti hanno investito molto tempo e parecchio denaro per l’apertura delle migliaia di punti vendita che, con gli ipermercati, non solo contribuiscono a creare un’offerta commerciale in grado di attrarre milioni di consumatori presso i centri commerciali ma anche garantiscono opportunità di impiego a centinaia di migliaia di persone. Molti di noi si trovano a operare all’interno di gallerie dove il tasso dei punti vendita sfitti ha raggiunto quote elevatissime e nelle quali paradossalmente viene adottata la medesima scelta di liberalizzazione, quando forse bisognerebbe considerare altre strade più conservative. Di conseguenza ci diciamo favorevoli a qualsiasi iniziativa che permetta di ottimizzare il business e i profitti, che siano le domeniche di aperture come gli investimenti volti a rivitalizzare centri commerciali depressi con rivisitazioni del mix merceologico piuttosto che con ristrutturazioni di gallerie ormai vecchie e poco attrattive. Siamo invece contrari a decisioni che sono evidentemente e inutilmente dispendiose o addirittura dannose.

Marco Federico Del Ponte, retail development manager presso Inticom S.p.A: «Ridurre gli orari nei giorni feriali»

Guardando ai vostri marchi in portfolio, al momento di quanti negozi si compone la vostra rete in Italia?

La nostra rete in Italia si compone di 532 punti vendita, 209 dei quali sono inseriti in centri commerciali.

PESCARA (03)In seguito all’entrata in vigore della legge sulle liberalizzazioni di quanto sono aumentate le vostre domeniche di apertura nel 2012?

Sono aumentate dell’80 per cento.

Con le aperture domenicali e nei giorni festivi estese tutto l’anno quanto sono aumentati i costi di gestione, tra personale e costi energetici?

I costi sono aumentati in modo significativo.

Tra maggiori costi e ricavi il saldo è in terreno positivo o negativo?

Negativo.

Nel merito della decisione, presa dai gestori dei centri commerciali, di aprire tutti i giorni, siete stati interpellati?

Non siamo stati interpellati, ci siamo adeguati a quanto stabilito.

I dati 2012 vedono quasi tutti i comparti merceologi cedere diversi punti di fatturato, ma anche il footfall non è migliorato. In tutto questo i gestori di CC si “difendono” dicendo che senza le domeniche di apertura i fatturati sarebbero andati decisamente peggio. Qual è la sua opinione?

Ad oggi tutti gli indicatori ci portano ad affermare che senza le aperture domenicali avremmo ottenuto gli stessi risultati dell’anno 2012. Riteniamo pertanto che il fatturato potenziale si sia solamente diluito su un numero maggiore di giorni.

Per il 2013 si parla di continuare ad aprire sempre per non perdere clientela a vantaggio dei competitor. A fronte di questo prevede un miglioramento o un peggioramento di fatturati e flussi nel corso del 2013?

Prevediamo di ottenere i medesimi risultati dell’anno 2012, soprattutto dal momento che non vi sono particolari prospettive di mutamento delle condizioni socio economiche e quindi della capacità di spesa degli Italiani.

Come vi siete organizzati per aprire tutte le domeniche?

Sia l’azienda sia i franchisee si sono adeguati al cambiamento. Stiamo ovviamente analizzando nel dettaglio gli interventi volti a migliorare il bilanciamento dei costi di gestione.

Complessivamente lei è soddisfatto o insoddisfatto di come è stata affrontata questa fase da parte dei gestori dei centri commerciali?

Siamo favorevoli a un percorso di modernizzazione della distribuzione nell’ottica di un maggior servizio alla clientela finale. Riteniamo tuttavia opportuno un intervento deciso da parte dei gestori dei centri commerciali sia per limitare i costi di gestione delle gallerie sia per ridurre gli orari di apertura nei giorni feriali.

Mario Maiocchi, managing director south Europe Dixons Retail and AD Unieuro S.p.A.; coordinatore comitato real estate Confimprese: «Puntare sulla flessibilità»

Come i retailer italiani vedono la possibilità, nonché l’obbligo, di restare aperti tutta la settimana all’interno dei centri commerciali?

Le aperture domenicali hanno rappresentato un modo per andare incontro alle esigenze dei clienti, che magari non riuscivano a effettuare i propri acquisti durante la settimana lavorativa e vivevano il sabato come il giorno di “spesa forzata”. Certo questa decisione ha comportato dei sacrifici importati, sia a livello di tempo, perché abbiamo chiesto alla nostra forza lavoro una disponibilità maggiore, sia a livello di costi generali. La scelta comunque era pressoché obbligata per far fronte a un periodo di crisi congiunturale forte: in situazioni simili occorre vagliare e sondare tutte le opportunità disponibili.

In particolare quanto sono aumentati i costi di gestione? Tra maggiori costi e ricavi il saldo è in terreno positivo o negativo?

L’apertura domenicale ha di per sé un’accezione positiva. Per noi rappresenta il secondo giorno più frequentato della settimana e l’incremento dei costi è dunque relativo rispetto al valore complessivo delle vendite. Certo, è anche vero che ha comportato una parziale cannibalizzazione delle vendite dal lunedì al venerdì. Per questo occorre ribilanciare i costi all’interno della settimana.

Nel merito della decisione, presa dai gestori dei centri commerciali, di aprire tutti i giorni, siete stati interpellati?

Ogni centro commerciale ha, di fatto, applicato modelli differenti nel programma di apertura domenicale. Una decisione collettiva in cui tutti gli operatori sono stati coinvolti in modo più o meno importante e anche Confimprese ha collaborato nell’attuazione di questo progetto.

I dati 2012 vedono quasi tutti i comparti merceologi cedere diversi punti di fatturato, ma anche il footfall non è migliorato. In tutto questo i gestori di CC si “difendono” dicendo che senza le domeniche di apertura i fatturati sarebbero andati decisamente peggio. Qual è la sua opinione?

Sicuramente entrambi i punti di vista sono corretti. Le domeniche aperte hanno dato un respiro soprattutto a quei punti vendita più in sofferenza. Tuttavia, dopo un anno di aperture domenicali, ora che abbiamo una storicità su cui lavorare, si potrebbe pensare a una gestione differente degli orari, magari lavorando su quelli infrasettimanali, nei casi in cui il footfall evidenzi un maggiore afflusso di persone in una specifica fascia oraria. In generale si potrebbe ipotizzare una certa flessibilità di apertura ai singoli retailer, là dove la situazione del retail park lo consenta, valutando la catchment area.

Per il 2013 si parla di continuare ad aprire sempre per non perdere clientela a vantaggio dei competitor. A fronte di questo prevede un miglioramento o un peggioramento di fatturati e flussi nel corso del 2013?

Credo che la situazione tendenzialmente rimarrà invariata, soprattutto perché non possiamo ancora considerarci fuori da questa crisi che sta influendo notevolmente il potere di acquisto della clientela tipo dei centri commerciali e retail park.

Può spiegare qual è stata, nello specifico, la strategia di Unieuro per ottimizzare in generale i costi di gestione?

La ricontrattazione degli accordi di fornitura elettrica è stata sicuramente uno dei primi step affrontati, ma avevamo intrapreso questo passaggio ancora prima delle aperture domenicali, in un’ottica di revisione generale dei costi e di una ottimizzazione dei consumi. Quindi stiamo cercando di contenere l’incremento del costo del personale, bilanciando quei negozi dove dobbiamo comunque mantenere un presidio minimo garantito e quei negozi dove il presidio è elastico sulla base dei flussi di vendita.

Hanno sofferto più i grandi o i piccoli i retailer?

Entrambi ne soffrono, se la causa è trasversale come il calo del passaggio della clientela. Sicuramente i retailer più grandi hanno però risorse differenti a cui attingere per provare a trasformare la situazione di crisi in nuove opportunità.

Complessivamente lei è soddisfatto o insoddisfatto di come è stata portata avanti questa fase da parte dei gestori dei centri commerciali?

Sono decisamente favorevole alle aperture, ma, come detto poc’anzi, con maggiore elasticità negli orari di chiusura /apertura dell’intera settimana e valutando in modo più mirato le esigenze del singolo retailer e/o del centro commerciale.

Pierantonio Milani, presidente di Gruppo La Piadineria: «Aperture domenicali non siano un dogma»

 Al momento di quanti locali si compone la vostra rete in Italia?

Abbiamo 66 negozi aperti di cui 14 diretti (13 in centri commerciali e uno su strada). Abbiamo poi in apertura 6 negozi diretti (tutti in centri commerciali) e 3 in affiliazione.

Tra maggiori costi e ricavi il saldo è in terreno positivo o negativo?

In positivo per quanto riguarda la maggior parte dei centri. Per altri casi siamo in pari considerando i costi diretti, ma credo in negativo se valutiamo tutti quei costi indiretti legati al fatto di avere un negozio in funzione.

Nel merito della decisione, presa dai gestori dei centri commerciali, di aprire tutti i giorni, siete stati interpellati?

Salvo qualche eccezione non siamo stati consultati. Nella totalità dei casi poi la decisione è stata presa su istanza della gdo presente, il soggetto più interessato alle aperture domenicali.

I dati 2012 vedono quasi tutti i comparti merceologi cedere diversi punti di fatturato, ma anche il footfall non è migliorato. In tutto questo i gestori di CC si “difendono” dicendo che senza le domeniche di apertura i fatturati sarebbero andati decisamente peggio. Qual è la sua opinione?

Credo che l’apertura domenicale sia irrinunciabile nella maggioranza dei casi. Non ha però senso farne un dogma, soprattutto in quei centri dove i flussi domenicali sono limitatissimi e in determinate stagioni dell’anno.

Per il 2013 i gestori di centri commerciali parlano di continuare ad aprire sempre per non perdere clientela a vantaggio dei competitor. A fronte di questo prevede un miglioramento o un peggioramento di fatturati e flussi nel corso del 2013?

Per la nostra tipologia di attività contano di più altri fattori, come la presenza di eventi di richiamo e non ultima la buona gestione del nostro negozio. Ogni tanto è bene guardare anche in casa propria.

Come vi siete organizzati per aprire tutte le domeniche?

Molti dei nostri negozi erano già aperti tutto l’anno, in quanto presenti nelle foodcourt connesse all’entertainment, per gli altri abbiamo semplicemente trasferito la modalità organizzativa. I nostri franchisee hanno reagito nello stesso modo.

Complessivamente lei è soddisfatto o insoddisfatto di come è stata gestita questa fase da parte dei gestori dei centri commerciali?

Penso che un anno di sperimentazione sia stato doveroso, ovviamente non è nostra pretesa condizionare un intero centro commerciale. Vorrei ancora sottolineare come le vendite vengano talvolta sostenute più che dal volume, dalla qualità e dalla corretta gestione.

È contrario o favorevole alle domeniche di apertura estese tutto l’anno?

Mi piacerebbe più coraggio nel chiudere la domenica o nei giorni festivi laddove i centri non presentano in quei giorni forti afflussi, per tipologia del centro e/o per periodo stagionale. Sono poi estremamente favorevole alla chiusura nelle feste comandate, più per motivi etici che economici.

Italo Bussoli, segretario generale di Assofranchising: «Fatturati su del 20%»

Lo scorso anno la posizione di Assofranchising, rispetto all’approvazione della normativa sulle liberalizzazioni nel commercio al dettaglio, era positiva. Dodici mesi dopo la sua posizione è rimasta la medesima?

Assolutamente sì, continuiamo a ritenere che le liberalizzazioni siano un punto irrinunciabile.

Sappiamo che l’applicazione “intensiva” delle aperture domenicali e nei giorni festivi da parte dei gestori dei centri commerciali ha creato non poche criticità ai retailer. In base al vostro osservatorio qual è la posizione su questo tema?

Per quanto riguarda il retail che proviene dal franchising e che opera all’interno dei centri commerciali, il problema sembra non esistere. Per questo tipo di location il fatturato dei giorni festivi supera di gran lunga quello dei feriali.

Mi conferma le difficoltà di alcuni retailer nel gestire le aperture domenicali tutto l’anno?

Sicuramente un problema per un certo tipo di dettaglio c’è, ma io credo vada risolto nella tipologia e nel posizionamento del punto vendita. Certi negozi non ha senso che rimangano aperti nei giorni festivi, per altri oggi è imprescindibile.

Guardando ai vostri associati, il saldo tra maggiori costi e fatturati è positivo o negativo? Più o meno con quale percentuali?

Il saldo è certamente positivo, con un più 20 per cento.

Per il futuro come migliorerebbe la gestione delle aperture domenicali all’interno dei centri commerciali?

La via maestra mi sembra tracciata e la gestione deve essere come sempre frutto di una negoziazione intelligente e rispettosa delle esigenze dei consumatori.

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