Costi contenuti e soprattutto massima resa, non solo in termini di vendite ma anche di promozione del brand e dei relativi prodotti.
Il temporary store rappresenta, ormai, una soluzione estremamente efficace sia per i marchi, attraverso la quale possono penetrare nuovi mercati, testare referenze e avvicinarsi (o riavvicinarsi) al cliente finale, sia per i gestori delle grandi gallerie commerciali, con cui possono colmare le vacancy e favorire l’acquisto di impulso all’interno di shopping center, aeroporti e stazioni ferroviarie.
Ai canali tipici della distribuzione moderna si aggiungono i tradizionali luoghi del commercio urbano: con un centinaio di location, oggi Milano rappresenta la città italiana con il maggior numero di aree permanenti deputate ai temporary store (e anche agli showroom), destinate ad aumentare con l’avvio della prossima Esposizione Universale.
Tuttavia, contestualmente al suo sviluppo, cresce l’esigenza da parte degli operatori di gestire questa formula, e quindi di conoscerla a 360°, a partire dai sempre più complessi aspetti normativi.
In sintesi «il temporary shop è un fenomeno della società liquida», ha esordito Massimo Costa citando Zygmunt Bauman. La digressione filosofica e l’ampia introduzione del segretario generale di Assotemporary hanno fatto da apripista agli interventi che hanno contraddistinto il convegno nazionale “Temporary Retail 2014 l’anno della svolta”, organizzato dall’associazione in seno a Confcommercio e da retail&food. L’incontro, moderato dal direttore di retail&food, Andrea Aiello, si è tenuto a Milano lo scorso 28 maggio.
Il resoconto integrale del convegno sarà pubblicato su r&f di luglio/agosto.
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