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Ogni mese un resoconto dall’ultima frontiera dello spazio retail. David Montorsi ci porta fra numeri e bilanci, cifre e trend, imprenditori e brand, là dove nessun uomo è mai giunto prima. Destinazione Gabel.

Riposizionamento dei marchi, scalata al mercato d’élite ed export, valorizzazione del proprio made in Italy doc: le parole d’ordine per uscire dalla crisi della family company lariana Gabel. Dopo anni di fatiche con fatturati e marginalità in calo e un 2017 molto difficile, segnali di ripresa nell’ultimo esercizio.

Passa attraverso l’internazionalizzazione il rilancio di Gabel, l’azienda italiana con sede a Rovellasca (CO), storico marchio di eccellenza tessile made in Italy, specializzata nel settore homewear e biancheria per la casa. Il gruppo comasco che comprende i marchi Gabel1957, Somma1867, Vallesusa e Pretti, l’anno scorso è sbarcato in Giappone grazie all’accordo con Aeon, multinazionale nipponica presente in tutta l’area asiatica (attiva in 13 stati con una rete di oltre 20mila punti vendita). Il progetto preliminare prevede tappe progressive di sviluppo, partendo dall’inserimento delle collezioni dell’azienda tessile italiana in 120 punti vendita dedicati all’insegna del marchio lariano sul territorio giapponese. Dopo il Giappone, Gabel spinge l’acceleratore sulla Cina: dopo gli accordi con Vip, uno dei giganti dell’eCommerce cinese e il più grande operatore flash sale al mondo, con il colosso Jd.com e più recentemente con Tmall (complessivamente un bacino potenziale di 700 milioni di clienti), i prodotti Gabel saranno presenti sul portale eCommerce di Hunan Mendale Home Textile Co Ltd, una delle tre più grandi realtà cinesi nella produzione e distribuzione di biancheria per la casa. La company asiatica, infatti, ha recentemente creato una divisione dedicata esclusivamente all’eCommerce e per i suoi canali online ha puntato su Gabel con l’obiettivo di introdurre sul mercato online cinese un prodotto made in Italy. È proprio sull’export che puntano i Moltrasio, la famiglia proprietaria (seconda generazione dopo la scomparsa di qualche anno fa del fondatore Giuseppe) per uscire dal guado di un mercato interno saturo (90/95% delle vendite del marchio) e in forte recessione (-25% nell’ultimo decennio con un -2% nel 2018), esposto a una forte concorrenza di multinazionali straniere soprattutto sulle fasce basse di mercato.

2018: patrimoniale ok, soffre ancora l’economico

I numeri negli ultimi anni sono stati impietosi per la storica azienda italiana (340 gli addetti nel 2018) con fatturati in costante contrazione e marginalità spesso negativa dopo la ristrutturazione avviata nel 2012 con la chiusura del sito produttivo di Mornago (VA), di quello di Rivanazzano (PV), la parziale dismissione di uno dei due siti di Rovellasca e quello di Gorizia, oltre al ricorso agli ammortizzatori sociali e alla contrazione del network retail. Il 2018 si è chiuso con 51,3 milioni di euro di ricavi: erano quasi 60 milioni due anni prima e -5,5% sul 2017, in linea con il trend di riduzione del business degli ultimi anni. La marginalità continua a soffrire, anche se dopo l’annus horribilis 2017 (MOL negativo e 7,5 milioni di perdite) nel 2018 si intravede la luce in fondo al tunnel con il MOL che torna positivo per 680 mila (+10,3%) e perdite ridotte a 1,3 milioni (il risultato migliora più di 5 volte rispetto al 2017), più o meno sul livello del 2016. Insomma, la famiglia ha dato un colpo di reni per non essere inghiottita da una spirale che poteva portare al peggio. Il cash flow, anche se non ancora positivo, è 5 volte meno negativo dell’anno precedente, come gli indicatori di redditività, seppur non ancora con il segno più risalgono alla superficie, dopo aver toccato negativi a doppia cifra nel 2017 (il ROI fa un balzo inavanti da -21,5% a -3,8%, quando era  -2,6% nel 2016). A Rovellasca sembra proprio si siano rimboccati le maniche e la famiglia ha preso in mano direttamente il timone: Michele Moltrasio, figlio del fondatore, a inizio dell’anno scorso ha sostituito il precedente amministratore delegato e, se questi sono i primi segnali, forse una via d’uscita alla crisi c’è. Intanto Gabel, nonostante le evidenti difficoltà degli ultimi anni, è una società ben patrimonializzata, come spesso accade alle family company: il patrimonio netto, anche se eroso dagli andamenti negativi degli ultimi anni, è di 17,5 milioni (era 26,4 nel 2016: il buco di -28,6% è del solito maledetto 2017), ma il capitale sociale rimane costante con ben 25,3 milioni iscritti a bilancio. Aumentano i debiti (l’indice di indebitamento a 1,49 in miglioramento sull’1,52 di due anni fa, ma peggio del 1,13 del 2016), anche se l’esposizione verso le banche a breve termine scende da 11,7 milioni di due esercizi fa ai 7,5 dell’ultimo. Il rapporto tra patrimonio netto e debiti finanziari peggiora: da molto buono però rimane comunque positivo (160,4% nel 2018) e comunque sopra le medie di settore di una quindicina di punti. Poi, i debiti a breve sul valore della produzione (0,46 nel 2018) sono in linea con quelli di settore. Insomma, le radici dell’albero anche se un po’ provate sono robuste e la liquidità (acid test) a 78,4% non è da mettersi le mani nei capelli, mentre il current ratio a 1,61 è ancora più positivo. Il problema è proprio la mole di business e la marginalità: ricavi procapite a 150mila euro e valore aggiunto pro capite a 38,3mila al di sotto della media del settore, nonostante un costo del lavoro in linea (dati Cerved Group).

Sfida al mercato luxury: l’export è il futuro

Nello staff di Michele Moltrasio ci sono i fratelli Massimo (ufficio stile e prodotto) e Francesca (comunicazione e digital marketing), affiancati da Daniele Moretti responsabile retail, Andrea Morabito alla produzione e Mario Volontè all’amministrazione e finanza. Questa la squadra che sta traghettando fuori dal guado l’azienda lariana: dagli headquarter confermano un andamento nell’anno in linea con gli obiettivi di budget e investimenti in Italia e per l’Italia. Poi continua il percorso per certificarsi come impresa sostenibile. Va ricordato che il Gruppo mantiene la produzione (tessitura, stamperia e tintoria) in Italia ed è l’unica azienda del settore a controllare direttamente tutta la filiera produttiva. Il network retail, intanto, conta una quarantina di negozi in Italia, tutti diretti (location urbana la preferita, ma anche centri commerciali e la maggior parte in Lombardia con un’importante presenza a Milano), di cui una quindicina di outlet. All’estero c’è un monomarca in franchising in Oman e 115 corner in Giappone nei department store di Aeon e in vari multibrand in Europa e in Moldavia. Il marchio Somma1867 ha cinque corner in Cina, quattro in Taiwan e sei in Corea, oltre quello di Londra, tutti in primari department store. All’interno dei negozi a insegna del Gruppo si trova la selezione dei marchi, mentre i corner Somma1867 sono presso importanti retailer, alla Rinascente e nei Coin. La distribuzione wholesale conta ad oggi un migliaio di punti vendita. Nel biennio 2019/2020 è prevista l’apertura di un flagship store a Milano con showroom per i due principali marchi ed è in cantiere un piano di restyling dei negozi medio grandi. Il piano di rilancio oltre che all’estero guarda al riposizionamento dei brand del Gruppo, forte anche del made in Italy (i prodotti sono confezionati negli stabilimenti di Rovellasca e Buglio in Monte, Sondrio): verso un target medio-alto, ma accessibile, per il brand Gabel1957, mentre Somma1867 (acquisito nel 1996) punta al mercato d’élite soprattutto internazionale, anche grazie al suo heritage di tradizione manifatturiera tessile laniera (poi ampliata a tutto il mondo dell’home living di lusso). Il nuovo progetto d’alta gamma vuole cogliere anche le possibilità di crescita nel contract, vestendo dimore private, grand hotel, yacht e interi edifici soprattutto in medio oriente, Far East, America e ex URSS. La scelta, quindi, si lega alle partnership con il Giappone e il Far East: luxury, export per Somma, ma anche qualità accessibile per Gabel con la sua rete retail nel mercato domestico.

L’intervista a Michele Moltrasio

Michele Moltrasio, ad Gruppo Gabel

Nuovi progetti, rilancio dei marchi e nuovi mercati: come sta andando il 2019?

Stiamo avviando contatti interessanti per la nuova divisione contract lusso La Suite Somma, per hotellerie, residential, spa. Si tratta di un prodotto orgogliosamente Made in Italy (controlliamo l’intera filiera produttiva), sartoriale e be-spoke che abbiamo presentato al Salone del Mobile questa primavera e che porteremo a novembre a Shanghai. Prosegue inoltre il progetto con Aeon con i corner Gabel: nelle prossime settimane avremo un incontro per definire le prossime collezioni e ospiteremo il presidente del Gruppo. In ambito retail abbiamo inoltre iniziato un processo di restyling dei nostri store Gabelcasa, introducendo fra l’altro capsule collection come “Gabelhub” dedicata a un pubblico giovane e attento alla moda.

Che impatto prevedete avrà il progetto di sviluppo retail in Giappone in partnership con Aeon e quello per le vendite online con Mendale in Cina?

La crescita all’estero nel settore tessile casa si basa su partnership che devono essere solide e soprattutto regolate da logiche win-win. Ogni Paese ha logiche commerciali molto diverse e nessuno può improvvisare. È per questo che scegliamo partner locali con cui consolidare relazioni importanti e durature. Nel frattempo le abitudini di consumo si trasformano, la crescita dell’eCommerce ne è un esempio. Sono sfide stimolanti che siamo pronti a compiere insieme ai giusti partner.

Il mercato d’élite può essere la risposta alle difficoltà della competizione internazionale?

Il Made in Italy è il terzo marchio più conosciuto al mondo e sarebbe un errore non essere a bordo di questo treno. Siamo rimasti gli unici a tessere, stampare e tingere in Italia e possiamo parlare con orgoglio di Made in Italy. Naturalmente è un plus che all’estero vale ancora di più ed è spendibile. Parallelamente il Gruppo sta attuando (con un percorso iniziato più di un anno fa, naturale evoluzione della nostra vision che già negli anni 80 ci ha portato ad acquisire una centrale idroelettrica) una serie di passi che lo porteranno a ottenere ulteriori certificazioni di sostenibilità e qualità. Crediamo che sempre di più ci sarà attenzione a questi valori presso il nostro pubblico e che ci sarà un divario sempre più netto tra i brand che avranno fatto propri questi valori e chi non lo farà o li sfrutterà solo a livello marketing.

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