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La newco che dovrebbe rilevare Alitalia dalla gestione commissariale non decolla e i partner industriali sembrano sempre più titubanti sul salvataggio del vettore tricolore che, nel frattempo, incassa altri 350 milioni di prestito. E appesantisce le casse dello Stato.

Cambia il Governo, ma la patata bollente di Alitalia rimane sempre sul piatto. E, al momento, sembra che la soluzione sia ancora di là da venire. Anzi, quel che è certo è che ci vuole tempo, almeno due mesi, come testimoniato dalla richiesta di proroga recapitata al Mise (e subito rispedita al mittente) da Atlantia e Ferrovie, due dei quattro soci che assieme a Delta Airlines e ministero del Tesoro dovrebbero dar vita alla newco. Un’operazione che si trascina ormai da tempo e che non ha trovato una soluzione nemmeno il 15 ottobre, ultima data fissata per la formulazione dell’offerta vincolante che non è arrivata; per la settima volta consecutiva. E nel frattempo la compagnia tricolore continua a bruciare cassa, tanto che nell’ultima finanziaria il Governo ha dovuto nuovamente mettere mano al portafoglio per garantire un nuovo prestito ponte da 350 milioni di euro. Una cifra che, sommata ai 900 milioni già sborsati dal giorno del commissariamento, fanno lievitare i costi sostenuti dallo Stato a 1,25 miliardi di euro (per un totale di 9,1 miliardi se consideriamo tutti gli interventi degli ultimi 45 anni).

I costi della crisi

La crisi di Alitalia non è una questione recente. Tuttavia, la situazione attuale è figlia di quel referendum bocciato dai lavoratori ad aprile 2017 che metteva fine all’esperienza di Ethiad alla guida della compagnia. Il 67% dei dipendenti votò contro un piano di rilancio da due miliardi di euro e 1.000 esuberi costringendo l’operatore emiratino a uscire di scena lasciando spazio, ancora una volta, al commissariamento. Un modello di governance che, a ben vedere, ha caratterizzato gran parte della storia del vettore italiano senza che questo producesse un cambio di registro. Secondo un report di Mediobanca, datato marzo 2015 ma tornato prepontemente di attualità, tra il 1974 e il 2007, lo Stato ha speso 5,3 miliardi di euro tra aumenti di capitale (4,9 miliardi), contributi (245 milioni), garanzie (8 milioni) e altri contributi pubblici (195 milioni). Nello stesso periodo, Alitalia ha generato introiti “solo” per 2,07 miliardi di euro per un saldo negativo di 3,3 miliardi. A dir la verità non hanno fatto meglio nemmeno i “capitani coraggiosi” di berlusconiana memoria che fra il 2008 e il 2014 hanno comunque richiesto un ulteriore contributo statale di 4,1 miliardi lasciando il rammarico per la fallita vendita ad Air France-Klm; ad oggi, l’ultimo vero investitore con un piano credibile, almeno sulla carta.

Parola chiave: perplessità

Altri tempi, altre dinamiche. Nel mezzo la crisi economica e un settore, quello dell’aviazione civile, che soprattutto in Italia ha dovuto fare i conti con il boom delle compagnie low cost e la progressiva erosione delle quote di mercato di Alitalia. Eppure i debiti e le nuove regole della competizione non bastano a spiegare perché ci sia un certa riluttanza a farsi carico del rilancio della
compagnia. Da un lato, la nuova maggioranza giallo-rossa, spogliata della retorica sovranista, ha raffreddato il coinvolgimento statale e la spinta su Ferrovie (che nelle ipotesi sul tavolo dovrebbe prendersi circa il 35%). Dall’altro, c’è il complicato rapporto con Atlantia (proprietaria, fra gli altri, anche di Aeroporti di Roma che gestisce il più trafficato aeroporto nazionale) dopo il caso del Ponte Morandi e la minaccia di ri-nazionalizzazione del business autostradale in mano all’azienda di proprietà della famiglia Benetton. Infine, c’è Delta Airlines che non si schioda dal 10% (circa 100 milioni di euro di investimento) e non nasconde l’interesse per le rotte americane, con buona pace del resto. Una timidezza che ha lasciato spazio a Lufthansa per sondare il terreno, scombinare
ancor di più le carte e fare marcia indietro confermando solo un interesse per un’eventuale collaborazione commerciale. Ad oggi, quindi, di certo c’è solo una grande perplessità. La stessa sensazione invocata dagli attuali commissari e dal ministro Pattuanelli che ha posto una nuova proroga al 21 novembre a patto di un «intervento diretto dei commissari, un immediato confronto
con gli offerenti e una richiesta di aggiornamento quotidiano sullo stato di avanzamento dei lavori».

N.G.

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