In piena emergenza Coronavirus, guardare oltre e ottimizzare i piani di marketing o più in generale le strategie aziendali può essere fondamentale per intercettare la futura ripresa. E non è escluso che la fase post Covid-19 si trasformi in un boost per quegli operatori che meglio e più velocemente sapranno cogliere le opportunità di mercato nonché sintonizzarsi sui possibili nuovi modelli di consumo. Allo stesso modo, il ruolo della comunicazione sarà tanto più efficace quanto riuscirà a restituire al consumatore la percezione a livello conscio e inconscio di sicurezza degli spazi fisici, siano essi singoli negozi o gallerie commerciali.
Con Alessandro Mazzanti, ceo di CBRE Italy – nella Penisola CBRE gestisce 52 centri commerciali, ubicati in 12 regioni, per un footfall complessivo di 130 milioni di visitatori, mentre il total revenue 2019 del Gruppo con sede a Los Angeles ammonta a 23,89 miliardi di dollari – abbiamo provato a delineare il perimetro dello scenario post emergenza, investigando temi come investimenti, consumi, nuovi sviluppi, canoni di locazione, marketing, dinamiche trasversali come food, leisure e servizi al consumatore nonché la nuova vocazione green del mercato retail real estate.
Investimenti real estate: il 2019 è stato un anno record per l’Italia, con forti incrementi nel segmento della logistica, e non solo, mentre il retail si è dimostrato più o meno stabile. L’attuale scenario di crisi dei consumi, dovuto anche all’effetto Coronavirus, quanto e come inciderà sulla propensione degli investitori, soprattutto di quelli stranieri?
È senza dubbio difficile stilare previsioni. Il 2020 è iniziato con una forte spinta derivata da operazioni acquisite nel 2019. Nell’immobiliare, infatti, passano in media dai 9 ai 12 mesi tra quando un proprietario decide di vendere e il momento in cui il deal viene finalizzato. A mio avviso, l’anno in corso aveva tutte le caratteristiche per essere anche migliore di quello precedente. Oggi credo che questo non avverrà, con l’impatto dell’emergenza attuale che sarà tanto forte quanto durerà nel tempo, fino a poter determinare uno scenario peggiore di recessione globale, che comporterebbe una ripresa molto lenta. Nel concreto, a marzo avremmo dovuto lanciare una serie di operazioni che inevitabilmente sposteremo almeno ad aprile, anche perché non è possibile nemmeno fare i sopralluoghi, ecc. I settori più colpiti sono quello retail e turistico. Ma, sottolineo, per gli investitori questo è un rischio di breve periodo, a meno che, come accennavo, la frenata dell’economia diventi una recessione.
Potremmo assistere a una seconda parte dell’anno molto vivace?
Se l’emergenza terminasse entro il mese di aprile e si potesse tornare a fare business quasi normalmente tra giugno e luglio, allora probabilmente registreremmo un terzo e quarto quarter molto forti. Anche perché l’effetto dello scampato pericolo, come abbiamo visto ad esempio dopo il raggiungimento dell’accordo tra lo scorso Governo italiano e l’Unione Europea, con la scomparsa di un rischio Italexit e una riduzione significativa dello spread, ha determinato un netto aumento degli investimenti. Credo che l’andamento dello spread sia l’indice che più fedelmente fa capire qual è e quale potrebbe essere l’interesse degli investitori sul mercato immobiliare in Italia. Ed è logico perché l’immobiliare è un investimento alternativo: quanto più si abbassa il rendimento dei titoli di stato tanto più si allarga potenzialmente il vantaggio del rendimento nell’investire in immobili.
In una fase di ripartenza, tra high street, centri commerciali e outlet village vede una diversa velocità di ripresa in termini di investimenti?
Proprio oggi abbiamo chiuso un’operazione retail importante a Milano per un investitore straniero. Dico questo per confermare che l’high street sarà sicuramente favorito rispetto a centri commerciali e outlet in termini di intenzione di investimento. In una fase di forte concorrenza percepita, qual è quella dell’eCommerce, il rischio che ci siano perdite di fatturati e quindi di pagamento di canone è molto più elevata per centri commerciali e factory outlet, che sono luoghi costruiti e destinati solo a quella funzione. Un immobile in centro a Milano che oggi ospita un negozio, in futuro potrebbe avere altre destinazioni d’uso. Per questo motivo la location è fondamentale e fa la differenza.
Tema canoni di locazione: la crisi Coronavirus potrebbe avere conseguenze anche nel medio e lungo periodo?
Anche se solitamente in tutti i centri commerciali è fissato un canone minimo garantito, nello shopping extra urbano i canoni sono legati all’andamento dei fatturati. Ciò vuol dire che, se a questa emergenza e a un’iniziale riduzione dei canoni seguisse un rapido ritorno del fatturato, i valori tornerebbero ad alzarsi. L’eventuale abbassamento dei canoni, che in questo periodo viene dibattuto tra le singole proprietà e i tenant, diventerebbe strutturale qualora la riduzione dei consumi perdurasse nel tempo.
Guardando invece alla pipeline dei nuovi sviluppi retail real estate, quali sono le aspettative per l’anno in corso in termini di nuova GLA?
Verosimilmente alcuni tagli nastro potrebbero slittare di qualche mese, come è successo per eventi di grande importanza tra cui Il Salone del Mobile. Al contrario, se oggi un developer volesse cantierizzare un progetto potrebbe farlo senza essere condizionato dalla crisi attuale, dato che per costruire un centro commerciale servono mediamente 2-2,5 anni.
In un contesto di consumi già deboli, in che misura potrebbe incidere l’evoluzione del Coronavirus soprattutto sul primo e sul secondo trimestre dell’anno?
Il primo trimestre sino a febbraio è stato relativamente stabile, con uno scostamento del -1 per cento. Marzo risentirà totalmente della crisi e anche il mese di aprile sarà molto difficile, compromettendo il secondo trimestre. Se anche l’emergenza finisse prima di Pasqua, non sarà immediatamente facile convincere le persone a tornare, per cui dovremmo imbastire campagne di marketing importanti.
Consumi quindi che potrebbero convergere sull’online, con un ulteriore picco rispetto ai tassi di crescita precedenti?
Questo può accadere: rispetto alla tendenza positiva già in atto può verificarsi un’ulteriore spinta. Di contro, pensando all’alimentare, lasciato alle spalle questo periodo le catene avranno tutto l’interesse nel far tornare i consumatori nei luoghi fisici, consumatori che nel frattempo saranno stati fidelizzati con il servizio online.
Restando su quest’ultimo tema, come potrebbe cambiare il ruolo della comunicazione nel breve e medio termine per trasmettere al consumatore, in primis, un maggiore senso di sicurezza?
Superata l’emergenza, lo sforzo si concentrerà sul far capire alle persone che i centri commerciali sono luoghi sicuri, dove è bello andare e trascorrere tempo. Si dovrà quindi comunicare con l’obiettivo di far superare alle persone la diffidenza iniziale. Sconvolgimenti come quello attuale, infatti, possono comportare degli strascichi. E lavoreremo con le proprietà per far passare questo messaggio, lavoro non semplice perché i centri commerciali avranno perso fatturato e canoni. Ma per fortuna in Italia le proprietà degli shopping mall sono mediamente molto forti: sono grandi gruppi che hanno la possibilità di fare investimenti di medio e lungo periodo.
Negli ultimi anni, food, leisure e servizi come la cura della persona piuttosto che il co-working sono stati identificati come i principali driver per trasformare i centri commerciali in centri polifunzionali, dove il retail è solo una delle anime. Su questo ampio fronte, e uscendo dalla contingenza Coronavirus, quali sono i progetti di CBRE in Italia e nei principali mercati internazionali in cui opera?
Stiamo pensando a tante iniziative perché i centri commerciali sono luoghi dove la popolazione, entro il bacino dei 20-30 minuti di spostamento in automobile, ha l’abitudine ad andare. È quindi necessario sfruttare tale abitudine per offrire soluzioni e prodotti interessanti. Sicuramente la componente food è fondamentale per cui ci stiamo lavorando molto: siamo partiti da food court ridotte e siamo arrivati a offrire livelli qualitativi differenti attraverso un’offerta che può variare da una qualità media, medio/alta ad alta. Oggi ci sono esempi di ristorazione condotta da chef stellati che entrano nei centri commerciali con dei loro format. E ciò indica una tendenza: è possibile segmentare l’offerta per andare incontro alla segmentazione della domanda. Sappiamo che i margini del food sono inferiori rispetto ad altre merceologie, per cui ci può essere qualche ricaduta sui canoni, ma il fatto di attrarre persone attraverso questa proposta può favorire l’arrivo di altri brand. E per noi è fondamentale avere sempre nuovi conduttori e marchi, risultato che CBRE riesce a ottenere in virtù della sua capacità di intercettare il meglio in giro per il mondo. Pensiamo, ad esempio, che sino a pochissimi anni fa non c’erano in Italia brand del calibro di Uniqlo e Primark.
Per quanto riguarda il leisure?
Non è un tema semplice da affrontare anche perché, spesso, ha bisogno di spazi che non sono compatibili con quelli di un centro commerciale. Nel complesso credo più all’arrivo di nuovi prodotti da vendere e ai relativi format di negozi, come è stato anni fa per Apple e gli Apple Store, piuttosto che alla grande espansione del leisure.
Infine, ma non meno importante, il tema della sostenibilità ambientale. Quali progetti state mettendo in campo per ridurre l’impronta ecologica dei vostri centri commerciali in gestione? La crisi attuale potrebbe mettere in secondo piano questo tema?
Al contrario, potrebbe essere un’occasione per uscire bene da questa flessione. Più che posticipare, per fare ripartire l’economia si dovrebbero sfruttare le agevolazioni e investire nella struttura dei centri commerciali e in strategie green, che hanno il consenso più ampio della popolazione e vanno nella giusta direzione di riduzione dei consumi in atmosfera. Ovviamente, per fare ciò, sarebbe necessario che le aziende, le quali devono anche investire in marketing come precedente detto, si vedessero sgravate da altri oneri. Questi sono investimenti virtuosi in quanto il costo iniziale ritorna nel tempo più che moltiplicato.
Di Andrea Penazzi
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