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Parallelamente a una visione di breve termine per fronteggiare l’emergenza Coronavirus, formulare strategie di ampio respiro può essere fondamentale per intercettare la futura ripresa economica. Il numero record di 12 miliardi di euro in transazioni immobiliari, registrato in Italia nel 2019, conferma la solidità del mercato real estate, che a livello internazionale vede una grande disponibilità di capitali. Nello specifico dei centri commerciali, il repricing in atto, con i rendimenti tornati a salire, potrebbe attirare ulteriormente gli investitori.

Con Joachim Sandberg, head of Italy and Southern Europe Region di Cushman & Wakefield, abbiamo provato a delineare il perimetro dello scenario post emergenza, partendo dal tema degli investimenti nel settore immobiliare per proseguire in ambiti come consumi, nuovi sviluppi, canoni di locazione, marketing, dinamiche trasversali come food, leisure e servizi al consumatore nonché la nuova vocazione green del mercato retail real estate.

 

Investimenti real estate: il 2019 è stato un anno record per l’Italia, con forti incrementi nel segmento della logistica, e non solo, mentre il retail si è dimostrato più o meno stabile. L’attuale scenario di crisi dei consumi, dovuto anche all’effetto Coronavirus, quanto e come inciderà sulla propensione degli investitori, soprattutto di quelli stranieri?

Nel 2019, in Italia, alcuni settori come l’alberghiero e il logistico sono andati molto bene, mentre il retail si è difeso con performance positive soprattutto nel segmento high street. Tali risultati sono stati guidati principalmente da una forte domanda a livello globale, da imponenti capitali a disposizione, per investimenti nel settore immobiliare. E la raccolta di capitali è continuata a livelli record sino almeno a inizio marzo. Nel merito del mercato nazionale, alcuni segmenti sarebbero potuti andare addirittura meglio se ci fosse stata una maggiore offerta di prodotto da allocare. Lo sviluppo in Italia è stato leggermente rallentato rispetto a quello di altri Paesi vuoi per delle leggi urbanistiche talvolta più complesse, vuoi perché il sistema creditizio è stato meno reattivo nel finanziare gli imprenditori. Guardando al 2020, invece, incombe l’incognita legata all’emergenza Coronavirus. Ma è necessario ragionare tenendo a riferimento diversi elementi.

Può spiegarceli nel dettaglio?

Il primo elemento è rappresentato dai fondamentali, che sono e rimangono forti. Non dobbiamo dimenticare che l’immobiliare è un investimento di lungo periodo, per cui, se il dramma a cui stiamo assistendo si esaurisse nell’arco di uno o due mesi, dal punto di vista di mercato l’impatto sarebbe minimo. Bisogna quindi capire che effetto avrà la crisi sanitaria sull’economia a lungo termine e non guardare soltanto alla gravità del momento. Ovviamente tutto ciò non è facile da prevedere. Prendendo a riferimento altri parametri, i tassi di interesse, se l’economia rallentasse, come è probabile che avverrà, rimarranno bassi per molto tempo; parallelamente i governi saranno costretti a dare stimoli agendo anche sulla leva fiscale, soluzione non praticata in prima battuta. E ancora, il rendimento dei titoli di stato è tuttora negativo in molti Paesi, mentre l’andamento estremamente volatile delle borse sconsiglia investimenti nel mercato azionario. Ma soprattutto i capitali a disposizione, come accennato, sono tanti. Per tutti questi motivi il quadro generale di partenza per l’anno era positivo; ora andranno valutati gli effetti sul lungo periodo derivanti dall’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Coronavirus. Di certo, se mi avesse chiesto una previsione soltanto un mese fa (a inizio febbraio, ndr), le avrei risposto che avremmo visto un 2020 allineato ai valori del 2019, se non addirittura più elevati, disponibilità di prodotto da allocare permettendo.

In una fase di ripartenza, tra high street, centri commerciali e outlet village vede una diversa velocità di ripresa in termini di investimenti?

Certamente sì. L’high street è favorito perché non presenta il rischio location. Per definizione, infatti, queste posizioni sono in pieno centro cittadino. Quando si parla, invece, di extra urbano, l’opinione degli investitori cambia. Connesso al retail cito i segmenti del last mile e del logistico, decisamente avvantaggiati poiché percepiti come a basso rischio: anche se in Italia la penetrazione dell’online è intorno al 6%, tra le più basse in tutta Europa, non c’è dubbio alcuno che l’eCommerce continuerà a crescere.

Guardando invece alla pipeline dei nuovi sviluppi retail real estate, quali sono le aspettative per l’anno in corso in termini di nuova GLA?

Non escludo che qualche taglio nastro previsto in primavera possa slittare. Nel nostro caso lavoriamo su un progetto, Maximo, in apertura a Roma nel mese di maggio. Ad oggi la previsione rimane invariata ma sarà necessario capire cosa accadrà nelle prossime settimane. Al momento non si può prendere una decisione definitiva. Dal mio punto di vista, se i decreti restrittivi del Governo rimanessero in vigore sino a metà aprile sarebbe saggio ipotizzare, in accordo con i vari tenant, delle date differenti. Soprattutto in questa fase è opportuno avviare un dialogo tra tutti gli attori coinvolti.

Investigando proprio il rapporto tra landlord, gestori e tenant, quali dinamiche vede in questa fase?

Al momento l’esigenza primaria è quella del senso civico e della responsabilità. Sicuramente si deve e si dovrà tenere aperto un dialogo costruttivo che accontenti tutte le parti in causa. Per quanto ho visto, l’approccio adottato sia dai nostri clienti che dai conduttori è stato decisamente maturo.

Come potrebbe cambiare il ruolo della comunicazione nel breve e medio termine, in primis nei confronti del mercato e dunque al consumatore finale?

Nella gestione di una crisi si attraversano tre fasi. Quella immediatamente precedente, nella quale occorre strutturarsi per affrontare al meglio qualsiasi eventualità e parallelamente curare il rapporto con i clienti e i fornitori, comunicando loro e in generale quali saranno le procedure, i processi, le policy, le misure ristrettive, di sicurezza, ecc. E su questo aspetto ci siamo fatti trovare pronti: tutti i nostri direttori, nei vari centri commerciali in gestione, sono stati formati con corsi di formazione continua e abbiamo attivato un’unità centrale di crisi che gestisce e coordina. Segue la fase della crisi vera e propria, che va gestita implementando tutti i processi e le procedure stabiliti in precedenza. E poi si arriva, infine, a un momento in cui si può e si deve parlare di rilancio sia al mercato che al consumatore finale.

Negli ultimi anni, food, leisure e servizi come la cura della persona e il co-working sono stati identificati come i principali driver per trasformare i centri commerciali in centri polifunzionali, dove il retail è solo una delle anime. Su questo ampio fronte, e uscendo dalla contingenza Coronavirus, quali sono i progetti di Cushman & Wakefield in Italia e nei principali mercati internazionali in cui opera?

Fino a poco tempo fa il centro commerciale era percepito come un classico immobile dove si affittavano spazi, spesso con contratti di locazione di lungo periodo, che magari non prevedevano neanche un turnover rent. E il condutture si limitava a vendere i propri prodotti avvalendosi di un piccolo magazzino. Il domani, invece, sarà totalmente diverso: vediamo un forte cambiamento nel settore che è già in atto. Ma l’aspetto più difficile, a mio avviso, non è la gestione del cambiamento in sé bensì è la sua velocità che ci pone sfide importanti in termini di capacità di reazione. È fondamentale dunque cercare di prevenire i cambiamenti, i quali sono dovuti principalmente ai nuovi fenomeni sociali: le giovani generazioni sono sempre connesse online, lavorano con i social, adorano le community e cercano l’experience. Oggi, attraverso lo smartphone o il pc, è possibile fare shopping sul web stando comodamente seduti al bar, mentre si beve un caffè e si mangia un pasticcino in compagnia di amici o familiari. Per questo motivo dobbiamo creare nei centri commerciali dei luoghi che favoriscano la socializzazione, mentre i tenant andranno sempre più verso format che esaltano l’experience, l’immagine e il tocco del prodotto. Saranno concetti più improntati allo showrooming e propedeutici alle vendite online, magari sfruttando la formula del click&collect.

Per quanto riguarda il leisure?

Uno dei problemi è la misurazione. Come posso valutare il valore aggiunto di un negozio in questa fase di cambiamento? Un tempo era facile perché la vendita era generata all’interno di uno store su una precisa quantità di merce. Per cui si arrivava a stilare velocemente un conto economico. Ma domani, se non potremo più adottare questa metrica, come definiremo il valore? Un esempio, guardando alla società attuale, può essere dato dagli influencer che determinano maggiori profitti in base alla quantità di follower. Parafrasando questo concetto per i centri commerciali, si potrebbe adottare come parametro di riferimento il footfall generato da uno specifico store. Oggi, nel concreto, iniziano a circolare i primi dati: l’online tende a essere più importante in un dato bacino quando l’operatore presidia la medesima zona con un punto vendita fisico. Questo perché la presenza di un negozio infonde fiducia nel consumatore, che può vedere e provare il prodotto. Come risultato, si genererà una crescente e profonda sinergia tra off e online.

Infine, ma non meno importante, il tema della sostenibilità ambientale. Quali progetti state mettendo in campo per ridurre l’impronta ecologica dei vostri centri commerciali in gestione? La crisi attuale potrebbe mettere in secondo piano questo tema?

Anche in questo caso siamo all’inizio di una curva esponenziale. L’immobiliare è un grosso inquinatore purtroppo, ma gli investitori internazionali ne stanno prendendo coscienza e questo, a livello globale, è un trend che impatterà fortemente sul settore. Così come è successo per il comparto degli uffici già 10-15 anni fa, quando ci si è posti il tema della sostenibilità. Quindi, sempre di più, si affronterà il nodo dell’efficientamento energetico, oltre che dell’approvvigionamento tramite fonti sostenibili. Sicuramente sui nuovi progetti è relativamente semplice trovare le giuste soluzioni, perché nascono già con determinati criteri; mentre è più complesso per il parco esistente, che necessiterebbe di ingenti investimenti in un periodo che sconta, in primis, il cambiamento stesso del retail. La nostra ambizione come Cushman & Wakefield è di coniugare la gestione di tutti gli immobili con un approccio orientato alla sostenibilità, per diminuire l’impatto ambientale degli asset che gestiamo e migliorare l’impatto sui clienti e le comunità che serviamo. Abbiamo un programma ambizioso per realizzare questi obiettivi nei prossimi anni.

Di Andrea Penazzi

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