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Con il venir meno del flusso di cassa, dovuto alla chiusura dei negozi imposta dal Governo dal 12 marzo sino almeno al 3 aprile in tutta Italia e al 15 aprile in Lombardia, l’ingranaggio che regola i pagamenti dal tenant al landlord e sovente da quest’ultimo all’istituto di credito rischia di incepparsi. Questo, come ha spiegato a r&f l’avvocato Alessandro Barzaghi, partner dello studio legale Cocuzza & Associati, può risultare altamente problematico per le proprietà che hanno una logica finanziaria molto spinta.
In un contesto emergenziale che rende impossibili previsioni anche di breve termine, e in assenza di posizioni univoche da parte delle proprietà immobiliari, l’inizio di aprile segna un solco oltre il quale il terreno di confronto diventa incerto. Oggetto del contenzioso è l’anticipazione dei canoni per il secondo trimestre che, a negozi chiusi da 20 giorni e a fronte di uno scenario successivo, almeno ad aprile, fortemente compromesso, rischia di diventare insostenibile per la casse vuote dei retailer. Con l’avvocato Alessandro Barzaghi ipotizziamo le possibili soluzioni.

Quale scenario va delineandosi tra landlord e tenant?
In un discorso astratto relativo ai canoni è necessario effettuare una distinzione tra i giorni di totale chiusura e quelli di attività ma in un contesto verosimilmente precario, quale sarà il periodo immediatamente successivo alla riapertura dei negozi. Nel primo caso i brand non vogliono pagare e invocano, a proprio favore, le norme del codice civile che asseriscono sostanzialmente che “se una obbligazione diventa impossibile, l’altra non è più dovuta”. Ma, è importante sottolinearlo, non esistono soluzioni giuridiche certe al 100% per disciplinare questa situazione che è senza precedenti. Il fatto che si tratti, nella quasi totalità dei casi, di affitti di ramo d’azienda e non di locazioni è un dettaglio legale non trascurabile a favore dei brand. Ma si deve tenere conto che la circostanza eccezionale non è dovuta né ai landlord né ai tenant. Il secondo caso riguarda la futura riapertura, che, almeno inizialmente, sconterà dei flussi all’interno dei centri commerciali considerevolmente inferiori allo standard. E le possibili cause sono almeno tre: ci potrebbero essere disposizioni del Governo o delle Regioni che, per motivi di sicurezza, obbligano il centro commerciale e/o il negozio a limitare gli accessi; anche in mancanza di specifiche direttive, le persone potrebbero avere paura di nuovi contagi per cui non andrebbero nei centri commerciali; o ancora, la crisi economica dovuta all’emergenza sanitaria potrebbe erodere il potere di acquisto delle famiglie. A fronte di tali scenari si potrebbe generare una situazione di squilibrio tra il canone dovuto per contratto e il nuovo contesto in cui il ramo di azienda si colloca. Anche in questo caso, gli strumenti giuridici per avanzare una richiesta di rinegoziazione esistono, ma non sono esenti da difficoltà e i tempi possono dilatarsi. Sottolineo che la quasi totalità dei contratti all’interno dei centri commerciali prevede una quota fissa e una variabile.

Con l’inizio del secondo trimestre, quali sono le criticità?
La scadenza del 31 marzo è imminente e ai retailer arrivano i bollettini da pagare per i mesi di aprile, maggio e giugno. Le premesse astratte di cui sopra diventano quindi estremamente concrete perché, non avendo il tempo per trovare un accordo con le proprietà, i brand si trovano a dover scegliere cosa fare. Potrebbero decidere di pagare l’intera quota, che significherebbe anticipare tre mesi sapendo che nei primi giorni di aprile e probabilmente anche oltre i negozi resteranno chiusi e che dopo le vendite ripartiranno con lentezza; potrebbero pagare una percentuale o sospendere. Sottolineo che ogni soluzione che differisce dal pagamento del 100% del canone risulta non conforme a contratto e le conseguenze vanno comunque vagliate. Un consiglio valido è che ciascun brand metta in atto le misure minime necessarie per mettersi in sicurezza, non andando oltre ove non serva.

In base al vostro osservatorio, qual è l’approccio delle proprietà immobiliari?
Su un campione di una quindicina di proprietà, la maggioranza propende per una dilazione di pagamento. Proposta che risale soprattutto alla settimana scorsa (16-20 marzo, ndr) e che da molti brand è considerata insufficiente in quanto non risolve il problema. Vi è il caso di qualcuno che ha proposto, per il solo mese di aprile, di far pagare le spese di gestione e non il canone. Tali soluzioni ci portano a un discorso più trasversale sulle proprietà: potrebbero farsi avanti con i retailer proponendo sconti più marcati e il pagamento su periodi brevi: ad esempio mese per mese. In questo modo otterrebbero più facilmente almeno una parte del monte canoni, a fronte del rischio concreto di incassi molto limitati, e giuridicamente, in caso di rifiuto dei retailer, ribalterebbero la situazione in un’ottica di contemperamento degli interessi, perché sussiste sempre un dovere di buona fede nell’esecuzione delle obbligazioni. Non si può escludere che i brand possano sfruttare eventuali proposte formulate da una proprietà per ottenere lo stesso beneficio da altre property, innescando una sorta di gioco al ribasso. Ma può anche darsi che le proprietà aspettino che la scadenza sia passata prima di contattare i propri tenant. Non è prevedibile, invece, che saranno molti i casi di risoluzione di contratto, perché i centri commerciali rischierebbero di riaprire con svariate unità sfitte, non avendo il tempo di ricommercializzarle. Spero quindi che prevalga il buon senso. Il tema dei canoni potrebbe essere ridimensionato, infine, se, in virtù degli aiuti governativi, le rate dei finanziamenti che le property devono onorare agli istituti di credito fossero congelate per un periodo di tempo. A.P.