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Dal lancio nel 2008 all’arrivo di Mir Capital, passando per l’espansione travel ed estera, l’azienda fondata dalla famiglia Ferrieri ha chiuso il 2019 con un fatturato di 20 milioni (+18%) e punta sulla formula “chocolate bar” per aumentare le vendite.

Nata nel 2008 come impresa della famiglia Ferrieri, con un’esperienza di oltre 40 anni nel mercato della pasticceria, a oggi CioccolatItaliani ha venduto più di 3 milioni di caffè, servendo oltre 4 milioni di clienti (solo nel 2009, il primo anno di attività, sono state 31mila) con 2,7 milioni di coni gelato attraverso un network che contra 35 store in Italia e all’estero. La compagine societaria è al 60% in mano a Gesa srl (la holding che ha fondato CioccolatItaliani e che ne gestisce le royalty derivanti dai franchising e i punti di gestione diretta) e per il 40% di Mir Capital, una società italiana di private equity. Per la gestione dei prodotti a marchio CioccolatItaliani, invece, è stata creata la commerciale Arriba, detenuta al 100% da Gesa srl. Al momento la rete conta 5 punti vendita diretti (tutti in Italia) e 30 in franchising di cui 16 distribuiti tra: Albania e Kosovo (3), Arabia Saudita (5), Qatar (2), Oman e Bahrein (1 a testa). Un fatturato sempre crescente: 17 milioni nel 2018; 24,5 milioni nel 2019, una stima di 34,3 milioni per il 2020 e 47 per il 2021 – al netto dell’emergenza Coronavirus. Un’azienda in salute con margini dell’Ebitda run rate (ovvero calcolata su base quadrimestre) sempre molto alti: l’ultimo anno oscilla tra un minimo di 16,8% e un massimo, proprio nell’ultimo quadrimestre, di 18,3 per cento. Oggi le ripartizioni dei ricavi in termini di prodotto pesano per il 27% sul gelato, il 20% sul caffè, il 16% sui dolci e il 37% su tutte le proposte correlate. In termini di tempo, il profitto è posizionato all’11% durante la colazione, per il 16% nel momento del pranzo, il 35% nei break durante la giornata, rispettivamente il 7% tra aperitivo e cena e un buon 25% per il dopo cena. Nel 2018 è stata consolidata la posizione di master franchising con Autogrill per lo sviluppo del canale retail all’interno di aree commerciali, fieristiche e outlet, tanto che nell’anno è stato inaugurato uno store all’interno del centro commerciale Milano Fiori: rispetto all’anno precedente i punti vendita sono aumentati del 23 per cento.

L’analisi del bilancio

Un fatturato totale 2018 di 15,75 milioni che si spinge a 20 milioni nel 2019 (+18% rispetto allo stesso dato del 2017) ed Ebitda 2018 di oltre 2 milioni. Il Roe 2018 è negativo (-8,3%) dovuto a un aumento considerevole delle immobilizzazioni (+18,8%), con il consolidamento di due nuove società all’interno del gruppo, Viviquadro srl e Fevi srl, mentre rimangono positivi gli indici afferenti la gestione operativa come il Roi (2,6%) e il Ros (2,3%). L’azienda ha una buona liquidità, l’indice relativo, assunto dal capitale circolante netto, è dello 0,89. Appropriato il tasso di copertura degli immobilizzi, pari al 0,84 considerando i mezzi propri rispetto ai debiti consolidati. Rispetto al bilancio consolidato dell’anno precedente, nel 2018 è aumentato l’indice di rotazione del capitale investito (da 1,05 a 1,17) e quello relativo alle attività correnti (da 2,16 a 3,09). Risulta diminuito, invece, quello relativo alle scorte (da 25,33 a 24,76) e la rotazione dei crediti commerciali (da 8,47 a 7,86) probabilmente anche per la politica estera. Al contrario l’indice di rotazione dei debiti commerciali aumenta (da 2,05 a 2,16) registrano quindi una diminuzione dei tempi medi di pagamento dei fornitori ma con un allungamento delle tempistiche di incasso dei crediti. È da sottolineare una percentuale di rischi molto bassa: il rischio di mercato è pressoché inesistente in termini di approvvigionamento in quanto la totalità degli acquisti avviene da fornitori di consolidata presenza sul mercato, la società vanta inoltre
una buona qualità creditizia; il Gruppo, attraverso l’ottenimento di finanziamenti a basso costo, non è sensibile neppure a un rischio di tasso di interesse né a quello di cambio operando sostanzialmente in Euro; il rischio di credito è monitorato ma alla fine del 2018 la quasi totalità dei crediti era riferita a controparti di elevato standing; viene valutato e mantenuto un livello di cassa adeguato in modo da non intercorrere a un rischio di liquidità, avvalendosi anche di sufficienti affidamenti da parte del sistema bancario; infine non si avvertono rischi significativi al gradimento dei prodotti nei mercati di riferimento e il Gruppo è supportato da efficienti attività di comunicazione tali da dire che il rischio di immagine aziendale è pressoché nullo.

I punti di forza di CioccolatItaliani

«CioccolatItaliani nasce da un’intuizione mia e di mio padre e dalla lunga esperienza della mia famiglia nel mondo della pasticceria e della somministrazione alimentare – racconta Vincenzo Ferrieri, vice presidente dell’azienda – nel 2009 il settore del food era ben diverso da come lo vediamo oggi, le catene di ristorazione erano poche, Eataly era appena nata e dell’Expo sull’alimentazione ancora non parlava nessuno. Anticipando il fermento attorno al mondo ristorazione, che sarebbe arrivato da lì a qualche anno, abbiamo creato un brand con una forte identità, che badasse al dettaglio e all’esperienza oltre che alla sostanza, e lo abbiamo caratterizzato con quelli che sono poi diventati i suoi elementi iconici come le fontane di cioccolato». Un format facilmente replicabile ma focalizzato sull’artigianalità del Made in Italy, preparazioni artigianali su ricette del pasticcere Leonardo Di Carlo e l’uso di un cioccolato premium come il Fino De Aroma, proveniente da Colombia, Equador, Venezuela e Perù, che rappresenta solo l’8% del raccolto mondiale, una denominazione coniata direttamente dalla International Cocoa Organization (ICCO), la più importante autorità nel settore. Ma la ricetta del successo è la “chocology”, come la chiama Vincenzo Ferrieri, ovvero l’arte di mixare il cioccolato con i prodotti tipici della somministrazione italiana: la gelateria, la caffetteria e la pasticceria, raggiungendo una fruizione personalizzata e totalmente esperienziale. «Questo è il segreto di un concept innovativo, capace di “democratizzare” il cioccolato e di abbracciare una fascia ampissima di clientela, che va dal consumatore esperto fino al bambino che vuole semplicemente gustare un cono gelato, e di accompagnarla in ogni momento della giornata e lungo le quattro stagioni».

Bean to Bar e il prospetto per i retail

Nel 2016, nella sede proprietaria in via De Amicis a Milano, è stato lanciato il progetto in store di una chocolate factory Bean to Bar, che mostrasse al pubblico come viene prodotta una barretta di cioccolata artigianale. Tanti i premi vinti da quel momento: nel 2017 quello di Best Food Experience al Mapic di Milano e nel 2018 di Best Managed Company di Deloitte grazie a una gestione capace di Marco Valle, dopo 11 anni in Lavazza, e Stefano Sacchetto, il direttore operativo, con una carriera prima in McDonald’s, poi in Eni e nel settore retail da Venchi e Percassi, per il marchio Starbucks in Italia. Nel 2008, CioccolatItaliani si specializza nel canale dei centri commerciali e cerca il suo posizionamento in vie particolarmente trafficate, mentre l’anno successivo entra nel mercato travel, in particolare negli aeroporti e nelle principali stazioni, dove viene studiato un nuovo formato a chiosco per ridurre gli spazi ma garantire un posizionamento a tappeto nelle aree di maggior interesse. Quali le attese per chi decide di aprire un CioccolatItaliani? I chioschi hanno un fatturato approssimativo di 330mila euro, scontrino di 3,3 euro e una media giornaliera di 400 scontrini; gli store fino a 100 mq presentano un fatturato di 650mila euro, ticket medio sempre di 3,3 euro con 550 battute al giorno; i punti vendita medi, fino a 200 mq, fatturano 1,2 milioni di euro con 500 scontrini day-byday da 6,5 euro; infine il formato maggiore, da più di 200 mq, il più indicato per le grandi città metropolitane e l’unico che possa contenere il progetto della fabbrica Bean to Bar, presenta un fatturato medio di 1,4 milioni con un ticket di 8,5 euro per 450 battute per giorno.

Gli obiettivi futuri e le sfide

«Piuttosto sfidanti». Così definiva i propri progetti Vincenzo Ferrieri prima dell’emergenza Coronavirus, che ora farà sensibilmente cambiare i piani aziendali: «Si prevede di triplicare il numero di punti vendita nei prossimi cinque anni rivolgendo particolare attenzione al canale domestico, specialmente nelle città di Roma, Firenze, Venezia e Torino ma con un occhio di riguardo al mercato europeo, come Francia, Spagna Inghilterra e Portogallo, in cui sono programmate almeno un paio di aperture di flagship store». Potenziato anche il canale del travel retail con numerose aperture all’interno di stazioni ferroviarie, da ultima quella all’interno di Roma Termini, ma anche di aeroporti nazionali e internazionali. «In futuro continueremo a essere un’azienda retail e quindi ad aprire negozi, il nostro obiettivo è quello di creare un brand globale – conclude Ferrieri – Abbiamo un progetto di lungo periodo e non è detto che le competenze e le risorse che l’azienda ha acquisito in questi anni non possano essere utilizzate anche per altre iniziative nel mondo food retail. Io, personalmente, fra dieci anni mi vedo sempre in azienda, ma magari a gestire un portafoglio di più brand».

C.R.

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