Skip to main content

Se da noi l’impatto dell’emergenza coronavirus sulle tenuta delle imprese retail sta emergendo poco a poco dopo l’iniziale shock della serrata di marzo, negli Usa il problema è già scottante. Fra aziende incapaci di sostenere la chiusura forzata e brand che hanno sospeso le procedure di liquidazioni, il mercato si appresta a un nuovo capitolo della retail apocalypse

A far scattare l’allarme è stato il dipartimento del commercio USA che, mercoledì 15 aprile, ha rilasciato i dati relativi alle vendite retail di marzo: -8,7%. Il più grande ribasso da quando sono disponibili le serie storiche (1922) che segue un primo calo dello 0,4% registrato a febbraio.

Il downgrading

Ma il dato delle vendite, fortemente influenzato dalle chiusure forzate per tenere sotto controllo il contagio da Covid-19, è solo la cristalizzazione di un crollo verticale già anticipato a inizio aprile dalle agenzie di rating. Ne sanno qualcosa brand del calibro di J.C. Penney, Macy’s, Nordstrom, Kohl’s, Dillard’s, Capri, Tapestry, Levi’s e Signet protagonisti di un downgrading di gruppo operato da Fitch. Secondo l’agenzia statunitense, considerando una chiusura generalizzata che dovrebbe protrarsi fino a metà maggio, i fatturati dei retailer potrebbero scendere del 90%, nonostante la corsa al commercio online. Una situazione che potrebbe generare mancanza di liquidità e stress finanziari tali da intaccare anche le performance del 2021 con perdite double digit. Sulla stessa scia anche Standard&Poor’s che a fine marzo aveva già tagliato il rating di quattro gruppi retail: Michaels, At Home Group, The Container Store e Spectrum Brands. Il rischio, infatti, è che il 2020 sia un fattore di accelerazione della retail apocalypse già in atto portando, secondo le stime di Coresight Research, a un totale di 15mila chiusure (quasi il doppio delle 9.548 registrate nel 2019).

Fallimenti posticipati

Eppure anche la prospettiva del fallimento, per quanto potenzialmente definitiva, si va complicando. Il ricorso al Chapter 11 (che grossomodo rappresenta la nostra amministrazione controllata), attraverso cui diversi brand hanno potuto superare i momenti difficili a costo di forti ristrutturazioni del debito, sembra sospeso. Da un lato, infatti, un network di negozi chiusi non permette di recuperare o preservare la cassa necessaria durante la ristrutturazione aziendale. Dall’altro, l’inoperatività non consente ai retailer di valorizzare (attraverso la vendita) i propri asset immobiliari. Due i casi emblematici: Pier 1 e Modell’s. Nel primo caso, il brand di arredo e design (che aveva fatto richiesta di Chapter 11 a febbraio dopo un biennio di difficoltà) ha dovuto cancellare le procedure per la vendita del proprio business, immobili annessi, per mancanza di compratori costringendo così i creditori a convertire il proprio prestito in quote societarie. Per quanto riguarda Modell’s, che aveva presentato richiesta di amministrazione controllata a inizio marzo per il suo network di 134 negozi specializzati in abbigliamento sportivo, una decisione dell’U.S. Bankruptcy Court del New Jersey ha congelato fino al 30 aprile l’attuale perimetro retail (peraltro chiuso) del brand. Una decisione che permette a Modell’s di non svalutare i propri asset in un periodo di estrema recessione del mercato e riprendere il piano di ristrutturazione a negozi aperti.

Il traffico grocery 

A soffrire, però, non sono solo i retailer non-food. Secondo un’analisi in continuo aggiornamento realizzata da Placer.ia, anche il settore della grande distribuzione alimentare potrebbe presto presentare delle sofferenze. Almeno in termini di traffico. Dopo le prime settimane dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, e il panico da corsa allo scaffale che ha caratterizzato anche l’Italia, gli americani hanno ridotto le proprie visite al supermercato. Al 12 aprile, il traffico ai Walmart Supercenter è calato del -43%, mentre ai Walmart Neighborhood Market la diminuzione è del -33%. Walgreens ha registrato un -36%, Kroger -55% e 7Eleven -59% solo per citarne alcuni. «I benefici registrati dai brand della distribuzione alimentare nei primi giorni dell’epidemia sono andati via via scemando con l’aumentare delle restrizioni statali. La questione ora è capire se questo è solo un trend temporaneo dovuto al fatto che i clienti si sono premuniti e hanno già fatto scorta; oppure se può diventare un effetto strutturale della crisi sanitaria che potrebbe allargarsi ad altri settori», ha commentato Ethan Chernofsky, vice presidente di Placer.ai.

N.G.

Riproduzione riservata © retail&food