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Aigriim, l’associazione che raccoglie gli operatori della ristorazione multilocalizzata e nei luoghi di viaggio sconta perdite fra l’85 e il 98% del fatturato. Un trend che, nel canale autostradale, deve fare i conti con l’apertura obbligatoria delle aree di sosta.

Se c’è un comparto in cui anche la Fase 2 sembra ancora un barlume troppo flebile per pensare a una ripresa, è quello del travel retail. Dagli aeroporti alle stazioni, passando per le autostrade, chi opera in questi canali deve fare i conti con la crisi sanitaria e una fortissima riduzione della mobilità. Un binomio che, associato alla questione delle subconcessioni, diventa ancor più pesante per le aree di sosta autostradali. Da qui parte la battaglia di Aigrim per una revisione dei canoni che deve tener conto di un mercato totalmente nuovo e l’obbligatorietà di rimanere aperti in quanto servizi essenziali. Raggiunto da r&f mentre è in viaggio (in macchina) verso l’ennesima riunione sul tema, il vicepresidente Cristian Biasoni traccia subito il valore della posta in palio: «La gestione del mondo della ristorazione in viaggio è drammaticamente in sofferenza e, nonostante le condizioni insostenibili, le aziende stanno facendo la loro parte perché sono moralmente obbligate a rispondere a un servizio di pubblica utilità. Ma se il Governo non permette agli enti concedenti di rinegoziare i canoni con i retailer, allora il mercato rischia di spegnersi».

Dall’inizio del lockdown come si è modificata l’operatività degli associati Aigrim, soprattutto per quanto riguarda il canale autostradale?

Da quando è scattato il lockdown, la situazione è drammatica con cali di fatturato che vanno dall’85 al 98% rispetto agli stessi periodi del 2019. I picchi inferiori di perdita di fatturato si registrano in autostrada. Il Governo considera le aree di servizio autostradali come un servizio di pubblica utilità e ci impone l’apertura. Cosa che non è successa nel canale aeroportuale e ferroviario dove sono stati chiusi la quasi totalità dei punti vendita. Ovviamente il calo di fatturato è dovuto alla ridotta mobilità. Attualmente, la tipologia di cliente maggioritaria è quella dell’autotrasportatore, che non ha limitazioni allo spostamento. Inoltre, le modalità di consumo permesse sono solo da asporto. Un avventore non può entrare in un’area di servizio e consumare il caffè al bancone, per intenderci. È chiaro che in queste condizioni facciamo il 5-10% del fatturato che facevamo nello stesso periodo dello scorso anno.

Performance su cui è pesata anche un’iniziale confusione in termini di norme e disposizioni da seguire.

Le interlocuzioni con il Governo sulle modalità di erogazione del servizio sono state praticamente nulle. Come operatori abbiamo fin da subito recepito i vari DPCM che sono stati emanati dall’inizio della crisi sanitaria, ma questo andava spesso in conflitto con disposizioni a livello locale. L’interpretazione delle norme si è dimostrata fin da subito una pratica difficile aggravata da risposte mancate e differenze a livello territoriale. Alla fine, ci siamo rifatti alla priorità del DPCM governativo sulle ordinanze emesse a livelli amministrativi e politici più bassi. Insomma, nel corso degli ultimi due mesi questo approccio ha creato più di qualche imbarazzo.

Tra i temi più spinosi c’è quello delle subconsessioni: canoni fissi e variabili, costi di gestione e investimenti dimensionati su volumi che ormai non ci sono più. Come affrontate il tema?

Premesso, appunto, che le condizioni nelle quali erano stati firmati i contratti di subconcessione non esistono più né torneranno in essere in tempi prevedibilmente brevi, la fase emergenziale ha ridotto a zero i volumi e ha drammaticamente penalizzato le aziende dal punto di vista della liquidità. Dovendo tenere obbligatoriamente aperti i punti vendita, pagare dipendenti e costi fissi di gestione è chiaro che siamo di fronte a uscite che bruciano cassa a ritmi molto rapidi. Ora, quando finirà la fase del lockdown, inizierà una nuova fase in cui, per operare, dovremmo tener conto di obblighi di distanziamento sociale, divieti di assembramento, necessità di igienizzazione, ecc. tali per cui è impensabile che le aree di servizio autostradali possano esprimere valori di fatturato paragonabili a quelli dell’anno scorso. La battaglia di Aigrim punta a rivedere per fasi le condizioni economiche delle subconsessioni. D’altronde, se applicassimo le subconsessioni firmate nelle convenzioni, dovremmo riconsegnare tutti gli spazi e licenziare tutte le persone.

Quali sono queste fasi?

Innanzitutto, la fase emergenziale, ossia quella che dura fino alla fine del lockdown ovvero fino al ritorno della possibilità di spostamenti fra regioni e durante la quale le modalità di servizio saranno di solo asporto. In questa fase chiediamo l’annullamento di tutti i canoni, sia fissi che variabili nonché i costi di gestione come la pulizia dell’area di servizio perché, in quanto servizi di pubblica utilità, già operiamo in sostanziale perdita e non siamo disposti a pagare anche gli affitti agli enti concedenti. La seconda fase, invece, partirà quando raggiungeremo almeno il 90% del volume d’affari dello stesso periodo dell’anno precedente. E qui chiediamo l’applicazione di canoni solo variabili oppure canoni fissi ma calmierati.

Come si applicherebbero?

Nelle aree di servizio autostradali possiamo pensare a delle royalty simboliche, che tengano conto dei costi fissi molto elevati per la gestione dei manufatti delle aree di servizio come climatizzazione, elettricità, manutenzione,
ecc. Negli aeroporti e nelle stazioni, invece, chiediamo l’applicazione di canoni variabili, ossia le royalty già contrattualizzate ma ridotte del calo dei volumi.

Che risposte dà Aiscat? E che ne pensa dell’apertura arrivata il 20 aprile da parte di Autostrade per l’Italia che si dice pronta ad azzerare le commissioni fine alla fine del lockdown?

Con Aiscat l’interlocuzione è continua. Ma anche loro sono impegnati in un fitto dibattito con il Governo. Il problema del canale autostradale non riguarda solo le difficoltà dei ristoratori di fronte ai concedenti, ma anche quelle delle società di gestione nei confronti delle istituzioni. Insomma, noi puntiamo ad attivare, dal basso, un processo a cascata che coinvolga tutti i player del canale autostradale. Attualmente, i limiti di negoziazione fra retailer ed enti concenti sono dovuti agli stessi limiti di quest’ultimi verso il ministero dei Trasporti. Per quanto riguarda la proposta di Aspi, seppur constatiamo la buona volontà che vorremo fosse ripresa anche da altri enti, al momento ci appare insufficiente sia in termini analitici e numerici, per la fase di riapertura, che temporali, fissando a luglio la scadenza della validità di queste stesse proposte. Caratteristiche inaccettabili per Aigrim, dal momento che siamo convinti che il problema persisterà fintantoché i volumi non si ristabilizzeranno. Il tutto al netto dell’evoluzione dell’epidemia. Se il coronavirus dovesse riesplodere in autunno, con un conseguente blocco del traffico e della mobilità, noi siamo punto e a capo. Finché il mercato non ritorna quello per cui sono state sottoscritte le convenzioni, ci devono essere delle misure di gestione temporale. Il rischio è andare incontro a uno spegnimento del mercato, con conseguente
perdita di migliaia di posti di lavoro.

A oggi, il pagamento effettivo dei canoni a che punto è?

Abbiamo regolarizzato i canoni per quanto riguarda il 2019, mentre gli acconti del 2020 non sono stati pagati.

Il motivo?

Basandosi sui volumi dell’anno precedente e stante la situazione attuale, è saltata la logica che stava dietro ai pagamenti. Prima di procedere, vogliamo capire qual è l’impianto economico su cui verranno conteggiati in un momento in cui la cassa e la liquidità sono a livelli minimi per tutti. Ciò rende difficile e improvvido pagare degli anticipi. I contorni della Fase 2, però, si vanno via via delineando.

Che effetti sul format di servizio dei punti vendita della ristorazione multi localizzata e nei luoghi di viaggio?

Come Aigrim stiamo dialogando in maniera molto intesa con Fipe al fine di pervenire ad alcune proposte molto concrete da recapitare alla commissione Colao. L’obiettivo per la riapertura è quello, da un lato, di garantire ai clienti e ai dipendenti sicurezza sanitaria e comfort all’interno dell’area di servizio; dall’altro lato, puntiamo a minimizzare gli impatti sui nostri format. Quindi, distanziamento sociale attraverso il distanziamento dei tavoli e riduzione dei posti a disposizione, sanificazioni accurate degli impianti e dei bagni, DPI, ecc. Certo, non è facile: nelle aree di servizio autostradali, nei bar, nei ristoranti in stazione e negli aeroporti, gestire i flussi ancorché ridotti, sarà complicato. Oltretutto, speriamo di trovare misure realmente implementabili sul punto vendita. Certe soluzioni possono essere teoricamente efficaci, ma se non trovano un’applicazione pratica adeguata è evidente che siamo sempre allo stesso punto.

N.G.

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