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Come sta prendendo forma il retail all’inizio della fase 2? Questo l’interrogativo posto ai relatori della web conference Retail S2 E2 organizzata da Retail&food in collaborazione con Lendlease e lo studio legale Cocuzza&Associati. Un evento online che ha riunito un panel di professionisti: dai general contractor agli architetti, passando per avvocati e gestori immobiliari.

QUI L’EPISODIO 1 DELLA SERIE.

Nell’introdurre l’evento, Diego Valazza, senior development manager retail di Lendlease, ha cercato di tracciare le coordinate dei «nuovi territori dell’attività commerciale» che si sono spalancati con l’avvio della fase 2. «La crisi sanitaria, da un lato, è stata un megafono, un acceleratore di importanti trend in atto che difficilmente eravamo riusciti a far atterrare nella praticità operativa, come il caso dell’omnicanalità. Stessa cosa vale per i temi della sicurezza e della salubrità. Dall’altro lato, sono emersi in maniera molto forte i temi della sostenibilità sia economica che ambientale», ha affermato Valazza. A bilanciare queste due spinte, «la speranza e la forte volontà nel mantenere il retail fisico come luogo di esperienza e socialità».

Gli interventi

A introdurre e moderare gli interventi dei relatori durante la web conference, è stato il direttore di retail&food, Andrea Aiello per cui «i giorni precedenti alla fase 2 sono stati contraddistinti da una grande grande difficoltà in cui ha preso forma un mosaico di azioni predisposte per prepararsi alla ripartenza». Di seguito il video integrale della conferenza e la sintesi degli interventi.

Alessandro Barzaghi, partner Cocuzza&Associati – Studio Legale: «Ci troviamo in momento particolare per il retail in cui le norme sono davvero tante e a volte contraddittorie. Tanto che, proprio per questo, molti operatori hanno deciso di non riaprire. D’altronde, nel giro di pochi giorni abbiamo scoperto che cose considerate pericolose fino a poco tempo fa, ora non lo sono più. Per questo, per fare chiarezza, abbiamo deciso di gettarci in questo marasma di norme e regolamenti per cercare di interpretarlo. Un’operazione da cui emerge una certezza: qualsiasi sia lo sviluppo della pandemia, ci saranno conseguenze totalmente nuove sull’aspetto giuridico del mondo retail real estate. E alcuni cambiamenti li stiamo vedendo già ora. Continua, per esempio, il trend di frammentazione normativa che caratterizzava il settore: aprire un locale a Bari è diverso che farlo a Trento, aprire in un centro commerciale è diverso che farlo in high street, in certe Regioni la definizione di outlet non esiste, ecc. Differenziazioni a cui ora si aggiungono quelle in materia sanitaria con protocolli suscettibili di un’estrema localizzazione. Nel frattempo, il classico modello di canone a metro quadro è entrato in crisi a causa del lockdown. O meglio: questo modello ha visto un’accelerazione di un cambiamento già in atto e che rispondeva alle mutate abitudini di acquisto dei consumatori nonché alle diverse strategie di marketing e posizionamento dei brand. Ecco allora che si è parlato di canone variabile, di flussi, di geolocalizzazione e conteggio delle vendite online come parte del fatturato di un punto vendita. Ognuna di queste soluzioni ha i suoi pro e i suoi contro. A livello di contrattazione, invece, la questione delle clausole diventa essenziale. Quella relativa alle “cause di forza maggiore”, per esempio, non era presente e disciplinata se non in minima parte, tanto che in molte occasione si è dovuto far riferimento ad altre fonti normative. In generale, comunque, c’è il problema di descrivere quali altre cause potrebbero incidere in un prossimo futuro nonché normare nuove modalità operative in termini di orari di apertura, obbligatorietà dell’apertura a fronte di una mancanza di traffico, responsabilità su chi fa cosa, ecc. Infine, a lungo termine, c’è il tema dello sviluppo, ossia: come difendersi da ritardi incolpevoli? Come rispondere a cambiamenti progettuali in corsa? Come gestire la durata del rapporto di locazione?».

Monica Cannalire, head of retail agency, JLL Italia: «Siamo solo all’inizio della fase 2 ma c’è già grande fermento sul tracciamento delle vendite. Per i dati in mio possesso, like-for-like siamo fra il 60-87% di vendite rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A livello di visite, i clienti sembrano preferire luoghi meno affollati determinando una riduzione di traffico nei grandi spazi commerciali e nei flagship store, che scontano anche l’assenza di turismo e la diminuzione delle occasioni di shopping occasionale. In generale, per il prossimo futuro, le parole chiave sono tre. La prima è prossimità: un tema ricorrente in questi giorni, ma già presente sottotraccia in molti settori del retail che ora lo declina sotto forma di sede dislocata, hub logistico di vicinato. La seconda è esperienzialità: cambia l’utilizzo funzionale degli spazi commerciali per abilitare rapporti one-to-one, su appuntamento, che trovano posto a fianco del classico store e si presentano come negozi satelliti dove proporre una customer experience differente ma che contribuisce allo stesso volume di vendita. Infine, accelerazione: obbligati a usare la tecnologia come mai prima d’ora, siamo stati travolti da una grande onda che non deve spaventare; il canale fisico deve sapersi adattare giorno per giorno».

Alberto Salvadego, global commercial manager, Costa Group: «Ci siamo trovati ad affrontare una situazione inimmaginabile cercando di trovare soluzioni pratiche per l’alimentazione. Pur nel mezzo della pandemia, infatti, il cibo è rimasta una necessità primaria; meglio se salutare. Da qui ci siamo mossi su due binari, lato retailer e lato cliente, al fine di fornire un’esperienza operazionale e di layout che mettesse al centro una mutata percezione di sicurezza. In cucina, quindi, abbiamo introdotto il frigo caldo, brevetto dell’Università di Parma, che garantisce il mantenimento della qualità dei prodotti cotti fino a un massimo di 40 ore. Oppure il forno a tripla cottura che unisce in un unico elemento tre funzioni diverse e permette di avere maggiore spazio operativo e ridurre lo spostamento delle pietanze da una postazione all’altra. Infine, abbiamo proposto ai ristoratori un’app per il vino in conto vendita che permette una riduzione dello stock di magazzino. All’esterno, per il clienti, abbiamo cercato di unire il rispetto della sicurezza sanitaria a una dimensione ludico-esperenziale diversa. Ne è un esempio l’utilizzo di una pentola in rame che diventa anche piatto di servizio. Oppure porzioni di cocktail che vengono servite al cliente in modo separato e che lo stesso deve miscelare all’interno del proprio bicchiere».

Paolo Facchini, presidente L22: «In questo momento, la priorità è comunicare e garantire la sicurezza. Dobbiamo ridare ai clienti quella sensazioni di beneficio che provavano prima dell’epidemia nel momento in cui visitavano il retail fisico. Questo passa da una rivisitazione della fruibilità degli spazi. Per molto tempo, per esempio, abbiamo pensato centri commerciali in cui si cercava di “ingannare” il cliente con soluzioni che lo facessero permanere il più possibile all’interno delle gallerie. Dopo l’emergenza, invece, dovremmo immaginare questi luoghi come dei canyon dove i flussi di entrata e uscita sono ben indicati e le possibilità di shopping lungo i due lati siano amplificate per sfruttare un passaggio più breve. Per lo stesso motivo, la gestione delle code deve trasformarsi in un momento di accoglienza del cliente che lo ripaghi dello sforzo di essersi recato presso il punto vendita. A livello architettonico e di layout, quindi, bisogna fornire una sensazione di sicurezza che non sia scambiata per asetticità. Infine, l’integrazione con l’eCommerce deve essere un’opportunità. Mi riferisco, per esempio, alle modalità click&collect e reso in store che devono inserirsi dentro percorsi ad hoc, con touch point rapidi. Insomma, ora più che mai il negozio deve essere pensato come un anello della catena di vendita».

N.G.

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