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La fine dell’emergenza porterà un forte cambiamento nell’approccio all’acquisto dei consumatori e nella gestione dei canali distributivi. L’online sarà più competitivo, il negozio fisico diventerà hub di multicanalità, gestendo la relazione con il cliente one-to-one

Erika Andreetta, partner PwC

Intervista a Erika Andreetta, partner PwC e responsabile del settore Retail & Consumer goods

Partiamo dall’attualità, Inditex ha annunciato la chiusura di 1.200 negozi nel mondo e contestualmente forti investimenti sull’online. In generale, come conseguenza del Covid-19, dobbiamo aspettarci in Italia un drastico taglio dei punti vendita da parte dei principali operatori nazionali e internazionali del fashion (e non solo)?

Nel caso di Inditex, come per tutto il retail, gli attuali investimenti sull’eCommerce non sono una scelta di canale alternativa alla rete dei negozi che rimangono fondamentali nel futuro delle aziende fashion (e non solo). Le chiusure rappresentano piuttosto un’accelerazione del processo di razionalizzazione di negozi poco performanti in mercati maturi e con una domanda in contrazione. Inditex chiuderà 1.200 punti vendita, che rappresentano il 13-16% della rete attuale e il 10-12% della superficie complessiva, ma sono responsabili di appena il 5-6% delle vendite e il 3-4% dei profitti ante imposte. Per contro, le superfici che si apriranno saranno più grandi (per Inditex +2,5% annuo della superficie della rete), con una migliore customer experience e sempre più omnichannel.

Tra le principali vie dello shopping e il settore dei centri commerciali, quale tipologia di location rischia di subire maggiormente il contraccolpo della crisi?

Per i settori apparel, department store e beauty, dovremo attendere da 2 a 12 mesi per una ripresa. I negozi delle vie del lusso high-street che non ha mai sentito le crisi continueranno a non risentirne, ma saranno in difficoltà i negozi non specializzati, piccoli store di vicinato o multimarca e i mall. I centri commerciali erano già andati in crisi, mentre gli “specializzati” come gli outlet troveranno nuovo slancio grazie al rinnovato discount mindset dei consumatori. Reggeranno i mall di nuova generazione grazie al posizionamento come “centro di aggregazione e svago” (es. Citylife). Il 2020 non sarà facile per le location legate al turismo degli stranieri: secondo l’Agenzia nazionale del Turismo l’Italia perderà 1 turista su 2 rispetto al 2019 (ca. 31 milioni di visitatori in meno) e non si tornerà ai livelli pre-Covid prima del 2023. Nel grocery, invece, è tornata centrale la prossimità: è la rivincita del negozio di vicinato, ora tra i punti vendita prediletti dal consumatore e rivalutato dal 29% degli intervistati per la Global Consumer Insight Survey Pulse di PwC – condotta nel maggio 2020 su un campione di quasi 3.400 intervistati in 31 città in Europa e Medio Oriente. Un trend che resterà dopo l’emergenza.

Di contro, l’eCommerce cresce addirittura a tripla cifra, anche se la fine del lockdown ha riportato l’attenzione sui negozi fisici. Come cambieranno questi ultimi in termini di concept, assortimenti, servizi, ecc. per realizzare quel concetto di omnicanalità di cui si parla da anni e che potrebbe vedere adesso una forte accelerazione?

Inditex ha annunciato 3 miliardi di euro di investimenti per sviluppare il nuovo modello di retail omnichannel basato su 3 asset: digitalizzazione, integrazione negozi/online, sostenibilità. Le 450 aperture previste saranno più grandi, sostenibili e capaci di offrire una migliore customer experience integrata con l’esperienza online. Un alert per chi sperava di tornare alla normalità pre-covid. La fine dell’emergenza porterà un forte cambiamento nell’approccio all’acquisto dei consumatori e nella gestione dei canali distributivi. L’online sarà più competitivo, il negozio fisico diventerà hub di multicanalità, gestendo la relazione con il cliente one-to-one. L’assortimento, la visibilità dello stock, l’esperienza d’acquisto e la formazione dello staff richiederanno un reboot dei negozi. L’eCommerce “di prossimità” troverà nel brick and mortar un valido ausilio: consegne veloci a domicilio, buy online e pick up in store, migliore gestione dei resi dovranno essere integrate con strategie “go vitual e go digital” per fidelizzare il cliente.

Molte catene del food retail stanno completando la riapertura dei propri ristoranti, ma alcune hanno già ripreso anche lo sviluppo vero e proprio. Superata questa fase iniziale, il food tornerà a correre come prima del Covid con nuove aperture, nuovi formati e nuovi investimenti?

Secondo la FIPE il settore perderà 10 miliardi di euro nel primo trimestre 2020, a cui si aggiungerà una perdita nel secondo trimestre per avere un recupero nel secondo semestre dell’anno, che chiuderà con un bilancio di – 8 miliardi di euro di fatturato. Dopo il lockdown gli italiani avranno voglia di tornare al ristorante. Le catene del food retail nelle grandi città che propongono una buona qualità con prezzo accessibile torneranno all’opera nel breve periodo a fronte di un investimento per mettere in sicurezza i locali. Le difficoltà maggiori interesseranno le piccole attività familiari e le realtà che lavorano tipicamente con i turisti stranieri. Il trend emergente è il food delivery. Durante la pandemia in Italia, Francia e Germania gli intervistati dalla GCIS Pulse 2020 hanno aumentato la spesa in pickup e delivery e la ristorazione è balzata fra le top 3 categorie di spesa in aumento (per il 27% degli italiani, il 24% dei tedeschi e il 32% dei francesi). Il servizio di consegna probabilmente continuerà ad avere uno sviluppo importante in Italia anche a emergenza terminata: se prima i tassi di crescita oscillavano tra il 5% e il 7%, secondo GamberoRosso arriveranno intorno al 20% (complice anche l’incremento delle dark kitchen) e probabilmente si estenderanno anche fuori dalle grandi città. Questo fenomeno è stato per molti un’innovazione ed è destinato a rimanere nell’offerta, anche in vista del perdurare dello smart working/remote working come modalità di lavoro. Affinché sia efficiente, l’azienda deve: gestire i margini, sviluppare la comunicazione e puntare sul digitale.

Durante il lockdown, la crisi coronavirus ha sicuramente amplificato alcuni trend di consumo già esistenti (shopping alimentare di prossimità, crescità dell’eCommerce e del food delivery). Quali potrebbero essere le conseguenze a medio e lungo termine di questa crisi sulla propensione e le abitudini di acquisto degli italiani?

Come emerge dalla GCIS Pulse 2020, i consumatori italiani hanno subito una riduzione delle entrate e saranno più attenti ai prezzi e all’acquisto di prodotti entry price (57% in Italia vs 61% in Spagna, 47% in Francia e solo 32% in Germania). Gli italiani hanno modificato le loro abitudini, destinando più risorse economiche alla spesa per generi alimentari (64%), media e intrattenimento e per i servizi di delivery dei ristoranti e meno per calzature e abbigliamento (58%), per attrezzatura sportiva (40%) e per prodotti di health&beauty (38%). Post-emergenza, ci sarà un effetto di revenge spending. Ci si attende che la domanda aumenti (anche superando per un breve periodo parametri normali nel pre-crisi) per rispondere al bisogno di autogratificazione dei consumatori successivo ad un periodo di forti limitazioni. In generale, acquisteranno sempre più Made in Italy, anche per solidarietà collettiva e attenzione alla “sicurezza” dei prodotti, per cui saranno disposti a pagare qualcosa in più. La survey evidenzia anche un forte balzo in avanti dell’eCommerce e dei pagamenti cashless. Crescerà anche l’e-grocery: durante la pandemia sono aumentati i consumatori che hanno provato per la prima volta il canale online, con un’età media superiore rispetto a prima e una penetrazione molto maggiore. Secondo la GCIS Pulse 2020, il 31% degli italiani ha scelto il canale online per il grocery, di questi il 70% ha acquistato online in quantità maggiori rispetto al canale fisico e l’85% continuerà a usare il canale anche dopo la pandemia.

Infine, il settore degli shopping mall negli USA, già in forte difficoltà prima dell’arrivo del Covid, sta soffrendo significativamente a causa della pandemia. Dato il vostro osservatorio internazionale, il fenomeno dei dead mall potrebbe espandersi ulteriormente in America e raggiungere l’Europa e l’Italia?

Le numeriche e anche la localizzazione dei mall sono profondamente diverse, negli USA gran parte dei dead mall erano in zone poco abitate. Anche i mall in Italia ed Europa soffriranno, ma sono fiduciosa che con il graduale e lento ritorno dei turisti stranieri ripartano anche i consumi. Aggiungo, infine, una riflessione su un tema impopolare, ma reale come quello dell’aumento dei prezzi (dal cappuccino, all’ombrellone fino alle borse di Louis Vuitton storicamente considerate price-setter) che unito all’impoverimento delle famiglie potrebbe accelerare anche il fenomeno della “Clessidrizzazione” dei consumi, in formazione (o già formatasi) nelle società dei paesi sviluppati: con un segmento luxury stabile e un aumento di preferenze per gli entry price a discapito della fascia di prezzo media.

Di Andrea Penazzi

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