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«Ripensare l’offerta, il format e il layout deve far parte delle nostra attività». Così Alessandro Ravecca, presidente di Federfranchising, ha aperto il webinar The Future of foodservice. L’evento online, organizzato in collaborazione con Hub Retail, Jakala e moderato dal direttore di Retail&food Andrea Aiello ha raccolta una serie di panelist di primo livello per approfondire le sfide del settore: loyalty, innovazione e sostenibilità.

Usciti dal lockdown, alle prese con abitudini di consumo nuove e trend accelerati, il foodservice si è interrogato sui modelli di sviluppo per dare nuova linfa alla customer experience. A ospitare il dibattito è stata Federfranchising (grazie alla collaborazione tecnica di Hub Retail), che con il presidente Alessandro Ravecca si è mossa fin da subito, in prima linea, per far sentire la voce dei propri associati. Fra questi, gli speaker dell’incontro moderato da Andrea Aiello, direttore di r&f, e anticipati dalla presentazione elaborata dalla società di marketing e consulenza Jakala.

L’analisi

Con un’analisi dal titolo What’s new normal?, Alessandro Olivari, partner di Jakala, ha posto le basi per la discussione: «Negli ultimi mesi l’emergenza Covid ha cambiato molti aspetti del business foodservice accelerando una digitalizzazione già in atto sia lato retailer che lato cliente. Quest’ultimo si è aperto maggiormente all’utilizzo di modalità innovative per interagire con il brand che, a sua volta, ha dovuto evolvere la propria offerta e la customer experience. Un fenomeno che, ora, mette in campo anche un rinnovato rapporto con il punto di vendita fisico». Secondo l’analisi di Jakala, infatti, a fronte di un aumento del bacino di clienti raggiungili (con forte un incremento della fascia over 55 le cui ricerche online sono cresciute del +20%), i brand che sono riusciti a intercettare i trend in atto ne stanno raccogliendo i primi frutti. Ma quali sono questi trend? Innanzitutto, la comunicazione: «Il 77% dei clienti ricorda e apprezza quando un brand comunica come il marchio sia utile alla “nuova” vita di tutti i giorni; mentre l’86% pensa prima a quei brand con cui sono ingaggiati emozionalmente al fine di soddisfare un bisogno», ha affermato Olivari. A livello di contenuti ciò significa porre maggiore attenzione alla territorialità, ossia: promuovere le eccellenze del territorio e valorizzare la comunità in cui è inserito il punto vendita. Il tutto attraverso una rinnovata presenza sulle piattaforme di social network, strumenti di marketing sempre più indispensabili. «In Italia, dove il mercato Ho.Re.Ca. vale circa 84 miliardi di euro, c’è ancora un 30% di potenziale non sfruttato in termini di bacini di influenza dei vari brand per un totale di circa 11,5 miliardi di euro di valore», ha precisato Olivari. Ecco allora che per conquistare questa nuova fetta di mercato diventano sei le aree su cui intervenire: customer experience e innovazione del layout, sviluppo di nuovi business model economicamente sostenibili (come l’accentramento delle operazioni di delivery), implementazione del CRM e di programmi di loyalty per fidelizzare il cliente, sfruttamento dei media digitali targetizzati su un audience locale, razionalizzazione della footprint, differenziazione geografica delle politiche di pricing e promozione.

Le esperienze dei brand

Tutti elementi che, in misura diversa, sono stati considerati e implementati dalle catene del foodservice. Operazioni che hanno portato alla formazione di best practice ed esperienze condivisibili. Di seguito una sitesi degli interventi:

Umberto Gonnella, ceo & founder di 101 Caffè: «La pandemia e il conseguente lockdown hanno cambiato il rapporto con il cliente: la fidelizzazione non era più mirata al cliente che veniva sul punto vendita ma a chi non ci poteva venire. In questo senso, per esempio, per mantenere il contatto con il cliente abbiamo attivato un servizio WhatsApp che ci ha permesso di instaurare un rapporto semplice e quotidiano con gli shopper. Quest’ultimi, da parte loro, ci hanno aperto le porte di casa nel momento della consegna della merce generando una relazione ancora più stretta con il brand, mediata dal punto di vista tecnologico ma finalizzata attraverso il contatto umano con il personale. Una base che ci ha permesso di evolvere e potenziare il nostro servizio, anche attraverso la collaborazione con altri brand, in un’ottica multipartner. Attraverso la condivisione abbiamo avuto accesso a maggiori dati e conosciuto meglio il nostro target. Elementi che ci permetteranno, da un lato, di perseguire con maggiore sicurezza la nostra politica di sostenibilità del prodotto porzionato e, dall’altro, di lasciare maggiore spazio all’iniziativa territoriale piuttosto che alle grandi strategie macro».

Chiara Valenti, marketing director di Domino’s Pizza: «Il nostro modello di business ci ha permesso di adattarci velocemente alla nuova situazione generata dall’emergenza Covid senza stravolgere i nostri due capisaldi: essere lo store di quartiere di riferimento e utilizzare la tecnologia per interagire con i nostri clienti. Grazie alla gestione interna della flotta, composta da 10 mezzi per ognuno dei nostri 28 punti vendita, e alla possibilità di ordinare via app o sito web abbiamo creato un nuovo rapporto con i nostri clienti. Durante il lockdown, per esempio, i nostri driver sono diventati dei veri e propri touchpoint per le famiglie, il cluster di clienti che ha maggiormente inciso sulle nostre performance cambiando anche il nostro tradizionale target di cliente rappresentato da giovani e studenti. Con tutti i nostri clienti siamo rimasti in collegamento attraverso notifiche push e promozioni basate sui dati forniti dal nostro CRM. La vera sfida, ora, è quella della sostenibilità: circa il 96% della nostra flotta è stata convertita all’elettrico anche grazie alla collaborazione con startup specializzate in queste soluzioni. Questo aspetto, assieme alla condivisione con il network internazionale di Domino’s Pizza ci ha permesso di muoverci in anticipo e reagire con maggiore prontezza all’emergenza».

Enrico Schettino, chef & founder di Giappo: «Di fatto, l’emergenza sanitaria e il lockdown ci hanno permesso di dare maggiore concretezza al nostro payoff che ruota attorno ai concetti di take away e delivery. In questo senso, sito internet ed eCommerce sono diventati i punti d’accesso privilegiati per i nostri clienti che abbiamo deciso di “premiare” con aggiunte al menù piuttosto che delle semplici promozioni. In questo modo abbiamo cercato di valorizzare e fidelizzare il cliente che sceglieva la nostra proposta senza dover rinunciare alla qualità della materia prima, ma arricchendo il nostro menu con combinazioni fusion come il bao al tonno scottato e mozzarella di bufala. Un elemento, quello dell’attenzione alla materia prima, così importante che ci ha indotto a ripensare la nostra presenza sugli aggregatori di food delivery e mettere in piedi un servizio tutto nostro che avesse una cura più elevata del prodotto e della sua consegna. Per quanto riguarda il retail fisico, in attesa della ripresa del canale travel retail, ci siamo subito mossi per una revisione del layout con l’eliminazione del classico nastro trasportatore sul bancone, una riduzione delle metrature e un maggiore distanziamento fra i tavoli. In generale, al di là della sfida della sostenibilità affrontata attraverso l’utilizzo di packaging riciclabili e biodegradabili, adesso siamo impegnati a decostruire, attraverso un’operazione di trasparenza sui processi produttivi, l’alone di pregiudizio che ancora associa il cibo orientale a scarsa cura e igiene».

Alessandro Annovi, open innovation manager di Cirfood: «La ristorazione aveva bisogno di un’accelerazione. Questo è il lato positivo dell’emergenza sanitaria e del conseguente lockdown che ha velocizzato quei trend che già avevano investito il settore ma che, soprattutto all’interno delle grandi aziende, faticavano a ingranare. Si è trattato di un’innovazione che ha coinvolto il foodservice a 360° e che necessita di un approccio aperto al fine di trarne i maggiori benefici. In questo senso, il dialogo con le startup attive sul mercato diventa un ulteriore strumento di accelerazione al fine di concretizzare lo sviluppo di quelle soluzioni che permettono alle aziende di andare incontro al cliente, razionalizzare la propria presenza sul territorio ed efficientare i diversi processi di produzione. Da questo punto di vista, infatti, il mercato italiano deve ancora fare un po’ di strada. Scontiamo un ritardo di circa 2-3 anni nell’adozione di soluzioni e format innovativi ma se riusciremo ad allargare lo sguardo ad altre esperienze potremmo cogliere quella varietà che fa bene al business; a patto di saperle contestualizzare».

N.G.

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