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In attesa dell’imminente, nuovo Dpcm, sono bastati 11 giorni perché il mondo retail riavvolgesse il nastro di questo 2020 fino al 12 marzo, data che ha segnato lo spartiacque nella lotta al Covid-19. Allora, iniziava un durissimo lockdown. Ora, una serie di Dpcm ha rapidamente riscritto le disposizioni per la nuova normalità che porta il nome di coprifuoco, ma sa tanto di serrata indotta.

Abbandonate le precarie abitudini e sicurezze estive, di fronte all’esponenziale aumento dei contagi, il Governo ha deciso di chiudere in modo mirato alcune attività. L’obiettivo? Ridurre, senza imporre, la mobilità dei cittadini che in questo modo alleggerirebbero il peso sul trasporto pubblico locale; vero e proprio punto debole del cordone
di contenimento della pandemia.

I Dpcm autunnali

Il decreto del 24 ottobre rappresenta solo l’ultima tappa di una stretta iniziata il 13 dello stesso mese. Un’evoluzione repentina fatta di bozze, anticipazioni, smentite e conferme. Nel momento in cui scriviamo (30 ottobre, ndr), e al netto delle decisioni a livello regionale, le disposizioni hanno richiesto un prezzo enorme a ristorazione e leisure. Risparmiati il commercio al dettaglio, la GDO e le superfici di grandi dimensioni (con centri commerciali e outlet che hanno subito una stretta nei weekend in Lombardia e Piemonte e ora devono vigilare affinché «venga impedito di  sostare all’interno dei locali più del tempo necessario all’acquisto dei beni») nonché il travel retail. «Le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) – si legge nel testo in Gazzetta Ufficiale – sono consentite dalle ore 5.00 fino alle 18.00; il consumo al tavolo è consentito per un massimo di quattro persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi; dopo le ore 18,00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico». Insomma, niente più cene fuori (a meno che non siate ospiti di una struttura ricettiva che offre anche il servizio ristorazione). Al massimo si può usufruire dell’asporto o della consegna a casa. Sempre nel testo del Dpcm, infatti, si indica che «resta sempre consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché fino alle ore 24.00 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze». Fortemente colpito il mondo del leisure in senso lato: palestre e piscine tornano a chiudere i battenti fino al 24 novembre; stessa cosa per cinema, teatri, sale da concerto e parchi divertimento. Ma anche per i ricevimenti e le feste al chiuso o all’aperto. Infine, fra le altre novità introdotte dai Dpcm autunnali, c’è l’obbligo per gli esercenti di esporre all’esterno del locale l’indicazione del numero massimo di clienti ammessi (sempre considerando il limite minimo di 40 mq in cui si entra uno alla volta oltre all’operatore).

Le reazioni

Disposizioni e limitazioni che hanno scatenato l’insofferenza dei protagonisti del settore retail. «Le misure annunciate dal Governo costeranno altri 2,7 miliardi di euro alle imprese della ristorazione», ha fatto sapere Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi). «Con i nuovi limiti di orario si perdono 6 italiani su 10 nella ristorazione, circa il 63% in meno che una volta al mese mangiavano fuori casa. La chiusure anticipate alle 18.00 avranno un effetto a cascata sull’agroalimentare nazionale con una perdita di fatturato di un miliardo di euro dovuta alle mancate vendite di cibo e bevande fino al 24 novembre», ha sottolineato Coldiretti secondo cui il consumo fuori casa rappresentava, prima della pandemia, circa il 35% di tutti i consumi alimentari degli italiani. Delle ricadute sull’indotto ne sanno qualcosa i Grossisti Ho.Re.Ca: «Dietro alla ristorazione c’è una filiera di quasi quattromila aziende e 58mila dipendenti che con il nuovo Dpcm accuserà ulteriori perdite per circa un miliardo di euro», ha affermato il presidente Maurizio Danese che ricorda come nell’annus horribilis che stiamo vivendo il sistema distributivo Ho.Re.Ca. subirà un danno di 8 miliardi di euro (la metà del proprio fatturato). In generale, «l’ultimo decreto produrrà altri danni gravissimi alle imprese: parliamo di circa 17,5 miliardi di euro tra consumi e Pil», ha sintetizzato Renato Sangalli, presidente di Confcommercio.

Ristori e non solo

Cifre e richieste d’aiuto che hanno già trovato una sponda nel Governo che il 27 ottobre ha dato il via libera per un nuovo decreto fiscale ed economico in soccorso alle categorie maggiormente colpite. In totale, il pacchetto d’aiuti messo a punto vale intorno ai 5,4 miliardi di euro. Di questi, circa 2 miliardi di euro saranno destinati ai ristori a fondo perduto, altri 2,6 per la cassa integrazione e circa 150 milioni per il credito di imposta sugli affitti commerciali (scalabile dal costo del canone o cedibile al proprietario immobiliare). L’obiettivo è quello di erogare entro metà novembre gli aiuti economici secondo un sistema di compensazione che prevede quattro fasce in base al volume del danno subito e un tetto massimo di 150mila euro. Differentemente dai precedenti interventi, i ristori non saranno più legati al tetto dei 5 milioni di fatturato all’anno (ma dovranno comunque provare una riduzione di oltre il 50% del fatturato), allargando la platea di aventi diritto a circa 460mila imprese. Per usufruirne, le aziende dovranno farne richiesta direttamente all’Agenzia delle Entrate che, in circa 10 giorni, dovrebbe accreditare la somma nel conto corrente della società (una prassi automatica per chi se n’era già servito nella fase precedente). Infine, il decreto prevede la cancellazione della seconda rata dell’Imu (in scadenza il 16 dicembre) per tutte le aziende colpite dalle nuove limitazioni, l’estensione della CIG a fine gennaio 2021 e la proroga al 30 novembre di quest’anno del termine per la presentazione del modello 770 da parte dei datori di lavoro.

N.G.

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