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KFC Italia oggi è controllata da una joint venture creata ad hoc, un accordo che parte con una durata decennale.

Corrado Cagnola, responsabile italiano della catena, spiega il significato della nuova struttura e delinea i programmi di espansione del brand in questa intervista a retail&food (pubblicata sul numero di Ottobre).

KFC Italia è un marchio che fa riferimento al colosso mondiale Yum! Brands. Nel 2022 ha generato un giro d’affari di 114 milioni di euro, conta circa settanta ristoranti e punta a una trentina di nuove aperture nel giro di un anno, con un obiettivo a medio termine (cinque anni) di 200.

Finora si è sempre sviluppata nel nostro Paese con l’affiliazione. Ora ha stretto un accordo con il partner GGC3, una joint venture creata ad hoc dai soci Iverna (Holding lussemburghese di natura finanziaria, che vanta numerosi altri investimenti nel settore food) e dall’italiana Essebi, già attiva nella ristorazione, che ha acquisito la KFC italy ed è diventata “corporate franchisee” di KFC per l’Italia. Che cosa significa?

“Possiamo dire che si tratti di un rapporto diverso, più stretto, rispetto a quello noto come master franchising. Cambiano sia la struttura delle royalty, sia gli aspetti di collaborazione con la casa madre. E direi che, in questo momento, forse siamo i primi in Italia a introdurre questa formula” spiega Corrado Cagnola, amministratore delegato di KFC in Italia. “Per sintetizzare, di solito il master franchisee è un soggetto che, una volta iniziate le operazioni, procede piuttosto in maniera autonoma rispetto al brand, gestisce i suoi rapporti con i sub affiliati, e poi rende conto dei risultati ottenuti, di solito unicamente del numero di aperture. Nella struttura che abbiamo scelto, invece, la corporation e il partner svolgono incontri periodici su strategie di marketing e posizionamento, sull’assistenza da fornire agli affiliati. E il brand si fa carico anche di una parte delle spese di questa organizzazione”. Un altro aspetto cruciale è l’orizzonte temporale a lungo termine.

“Il rapporto parte con una durata di dieci anni. Questo riflette la nostra strategia di crescita, che vuole accelerare, ma punta a essere stabile, duratura e ragionata”, prosegue Cagnola. “La visione sul lungo periodo è un altro degli aspetti che ci ha convinto di aver trovato i partner giusti. Ed è anche il motivo per cui, nonostante negli ultimi anni avessimo discusso con vari investitori, l’operazione non era idonea per fondi di private equity o comunque altri soggetti che abbiano bisogno di investire somme di liquidità importanti, ma con l’obiettivo di realizzo nel giro di pochi anni”.

Ora è possibile anche la gestione diretta

Da questo momento in poi, quindi, per KFC si aprono numerose strade. Intanto, viene inaugurata la possibilità di aprire ristoranti a gestione diretta. Poi, KFC Italia può continuare a siglare normalmente contratti di franchising. “L’aspetto territoriale è determinante e per ora eviteremo in tutti i modi di sovrapporci. Chi ha già esperienza in una determinata realtà locale avrà la precedenza nello sviluppo, anche per beneficiare di economie di scala e della possibilità di controllare meglio la rete”. C’è ancora spazio per crescere nel fast food? “Enorme. Noi abbiamo mappato almeno 500 posizioni in cui aprire potenzialmente”, dice l’AD. “Il nostro prodotto è trasversale, sia come canali di vendita, sia come geografia. Per noi il Centro-Sud e il Nord, generalmente più ricco, fanno poca differenza. Basti pensare che abbiamo sei ristoranti in Veneto e già otto in Sicilia, che vanno bene. In Italia il valore potenziale del mercato out-of-home è lo stesso di altri Paesi, come Francia o Gran Bretagna, ma da noi le catene rappresentano ancora una percentuale ridotta, meno del 10%. Anche solo se pensiamo alle prime cinque catene in Italia, dobbiamo considerare brand con meno di cento punti vendita sul territorio”, conclude Cagnola.

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