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E anche stavolta è giunto il momento di Host: un appuntamento che si ripete ogni due anni, segnato in rosso sul calendario di tutti gli addetti ai lavori nel settore della ristorazione e dell’hospitality, una ricorrenza professionale che si potrebbe assimilare, con le dovute proporzioni, alle festività natalizie – o meglio ancora ad Halloween, visto il periodo in cui si svolge e l’abbondante presenza di dolcetti e forse anche di scherzetti, come avrò modo di raccontare più avanti.

Host per me esiste da sempre, e ricordo con un pizzico di nostalgia il periodo in cui ancora si chiamava SIC (ovvero Salone Internazionale del Caffè), quando c’erano solo una minima parte degli espositori attuali e l’evento si teneva negli angusti padiglioni dell’ormai smantellata fiera campionaria, sulle cui ceneri è nato il moderno quartiere di Citylife, con le Tre Torri, gli appartamenti multimilionari dei calciatori e la residenza dei Ferragnez.

A quei tempi quando si arrivava a fine ottobre faceva già un bel freddo, i riscaldamenti erano accesi già da qualche settimana e il problema ricorrente era quello di trovare lo spazio nello sgabuzzino dello stand per infilare i cappotti e gli ombrelli dello staff e dei visitatori: sì perché un’altra tradizione non scritta di Host era la pioggia che con fantozziana precisione ci accompagnava incessantemente per tutti i giorni della fiera.

Quest’anno invece, a causa del riscaldamento globale, ci siamo ritrovati in un’inedita versione semi-balneare della manifestazione, evidenziata dalla temperatura ben al di sopra dei 26 gradi e dai numerosi visitatori in T-Shirt, bermuda e sandali da spiaggia: proprio la loro presenza, pur senza raggiungere le vette stilistiche osservate altrove (si veda a tal proposito il mio resoconto di viaggio da Chicago del maggio scorso) ci ha comunque ricordato che Host rimane una tra le fiere del settore più importanti a livello internazionale.

Ed è infatti ad Host che ci si rivede periodicamente con amici, clienti, fornitori e concorrenti che non si incontravano da tempo: e fare quattro chiacchiere con il nostro distributore islandese a cui prometto sempre di andare a Reykjavík, o con quello canadese che mi regalò anni fa una giacca da pizzaiolo a cui purtroppo non ho mai reso il giusto onore, è
un’ulteriore conferma di come, al di là dei rapporti di lavoro, sia fondamentale il lato personale di ogni relazione professionale.

Credo infatti che – in un’epoca in cui la presentazione delle novità aziendali è affidata soprattutto ai canali digitali della comunicazione aziendale (dal sito ai social, passando per le pubblicazioni online e offline come quella che state leggendo) – il vero valore aggiunto di questo evento sia il ritorno alle origini, in cui ci si incontra, ci si guarda negli occhi, si provano i nuovi prodotti e ci si scambiano le opinioni: difficilmente tutto questo può avvenire dietro ad uno schermo, digitando sulla tastiera, come sto facendo ora per riportarvi le mie impressioni mentre voi siete comodamente seduti nella vostra postazione di lavoro (almeno spero).

Perché Host è davvero gigantesca, una delle poche manifestazioni con la potenzialità di occupare quasi completamente i padiglioni della fiera di Rho-Pero, e per girarla tutta non basta una giornata: alla fine sono tanti i chilometri percorsi a piedi che per fortuna aiutano a smaltire le calorie ingerite assaggiando qua e là i prodotti degli stand di gelateria e pasticceria e che permettono di raggiungere record incredibili sulle varie app di fitness che abbiamo su smartwatch e smartphone, facendoci sentire orgogliosi delle nostre performance podistiche.

Un altro aspetto tipico di Host che mi ha sempre incuriosito riguarda i vari show che molti espositori allestiscono per attirare i numerosi visitatori che, soprattutto nel weekend, affollano i padiglioni della fiera alla ricerca – oltre che di cibo gratis – di qualcosa di interessante da vedere: alcuni di voi ricorderanno con malcelata nostalgia lo stand di un noto produttore di macchine da caffè, in un’epoca ormai passata, in cui ballerine brasiliane in abiti succinti si esibivano in balli latino americani su un pavimento fatto di specchi; chissà perché l’affollamento maschile che si creava in quella zona poneva spesso non pochi problemi di circolazione (pedonale e del sangue).

Confesso che anche noi in passato ci siamo lasciati ammaliare dalla musa dello spettacolo, senza però mai superare il limite della decenza (almeno spero), e nell’edizione del 2019 abbiamo trasformato il nostro stand in un vero e proprio palcoscenico, creando un ambizioso ed estenuante palinsesto costituito da sessioni di musica dal vivo, show-cooking, convegni, dibattiti e competizioni di ogni genere.

In quest’ultima edizione abbiamo invece recuperato un po’ di sobrietà e – anche a seguito delle minacce dei nostri commerciali che con tutta quella confusione non riuscivano a lavorare – a livello musicale ci siamo limitati a rispondere alle note neomelodiche provenienti dagli stand partenopei che avevamo intorno con qualche brano dei Rolling Stones e degli U2 sparato a tutto volume, ma soltanto quando la fiera era ancora chiusa, prima dell’ingresso del pubblico, credetemi…

E così tra un dolcetto e uno scherzetto anche quest’anno Host se n’è andato, lasciandoci quella sensazione a metà strada tra malinconia e sollievo che è tipica delle feste ormai passate, uno spesso mazzetto di biglietti da vista che – confessiamolo – nella maggior parte dei casi non serviranno a nulla, foto e video pubblicate sui social che non guarderemo più, e la promessa di quel viaggio a Reykjavík che prima o poi, lo giuro, riuscirò a mantenere.

 

Fabio Massimo Ottolina

Managing Director – Caffè Ottolina

 

 

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