Con 7 miliardi in portafoglio, e un obiettivo di 10, Hines è protagonista del real estate italiano. Abbiamo intervistato Raoul Ravara, Managing Director – Asset Management di Hines Italy.
Da Porta Nuova alla Torre Velasca, da piazza Cordusio al futuro maxi progetto dell’ex Trotto di San Siro, Hines ha investito in alcuni dei progetti più innovativi che hanno cambiato il volto di Milano. Ma se il capoluogo lombardo rimane il centro nevralgico delle operazioni, il management è pronto a cogliere nuove opportunità anche in altre aree. Pur con le difficoltà di una congiuntura caratterizzata da tassi di interesse balzati ai massimi, che rendono costoso l’accesso al credito, e con un track record di operazioni ancora debole per convincere gli investitori stranieri ad aprirsi a nuovi territori, a partire da Roma. Abbiamo fatto il punto della situazione in questa intervista con Raoul Ravara, Managing Director – Asset Management di Hines Italy.
Partiamo da uno stato dell’arte di Hines in Italia. Quali sono le caratteristiche, oggi, del portafoglio immobiliare nel nostro Paese?
In Italia siamo esposti su tutte le principali asset class e ad oggi abbiamo realizzato investimenti complessivi per 7 miliardi di euro, con un obiettivo di raggiungere 10 miliardi in 3 anni. Circa il 50% è rappresentato dal living, che comprende sia il build-to-rent sia gli studentati, il 40% è appannaggio di uffici/retail, mentre il 10% è per la logistica, che include anche i data center, segmento di cui siamo i leader. In aggiunta, abbiamo in portafoglio anche un asset nell’hospitality come Il Tornabuoni, il nostro hotel a 5 stelle a Firenze.
Qual è, precisamente, il ruolo di Hines nei progetti in cui è coinvolto?
Essenzialmente possiamo avere il ruolo di investitore unico e di devolpment manager, o anche entrambi. Nel primo caso, operiamo tramite i nostri fondi paneuropei, non ne abbiamo di esclusivi per l’Italia, suddivisi per grado di rischio e rendimento. Il gruppo dispone di un veicolo dedicato ai tradizionali prodotti Core. Poi è stato lanciato il fondo Core-Plus, che investe in immobili già completamente locati, come avviene nei normali core, ma dove è prevista una crescita del valore commerciale a seguito di opere di riqualificazione. Per esempio, abbiamo finalizzato da poco un’operazione del genere per un immobile logistico a Savona. Infine ci sono i fondi value add e un investimento emblematico, in questo versante, è la Torre Velasca a Milano, che è stata acquistata per essere poi rigenerata con lavori che stanno coinvolgendo non solo l’immobile ma l’intera piazza.
Allora approfondiamo la Torre Velasca. Caratteristiche?
Al suo interno sono state create porzioni retail che prima non esistevano per mille metri quadrati, che andranno a integrarsi al direzionale e agli appartamenti nei piani più alti. Nella superficie retail aggiuntiva rinveniente dall’ottimizzazione degli spazi, arriverà al 1° piano il debutto italiano di Sushisamba, brand di ristorazione già noto all’estero. Lo stesso soggetto, inoltre, ha affittato il 18esimo piano della torre, in cui proporrà un nuovo format di cui non è ancora stato svelato il nome, ma che si collocherà sempre in una fascia di fine dining. Inoltre siamo orgogliosi perché sarà il ristorante del centro più alto di tutta Milano, con una vista strepitosa.
Passiamo in rassegna qualche altro pezzo forte del retail di Hines. Soddisfatti di Spiga26, nell’omonimia via del lusso milanese?
Più che soddisfatti, se consideriamo che la commercializzazione è avvenuta durante il Covid e che tutte le fasi di cantierizzazione non sono state semplici. Prima lo stabile ospitava la sede di D&G. Il progetto iniziale prevedeva di creare 18 vetrine, tutte dedite al fashion, ma siamo stati rapidi e flessibili a cambiare strategia e capire, ad esempio, che in tutta la strada mancava un’offerta food, ad accezione de “The Bar at Ralph Lauren”. Così, nella corte di Spiga26, abbiamo inserito lo storico “Il Baretto”, che nel frattempo stava cercando una nuova location dopo il precedente Baglioni Hotel. E in effetti è stata una scelta vincente, perché questa presenza moltiplica di gran lunga il passaggio di persone. Anche la parte uffici rappresentava una bella sfida e siamo riusciti ad affittare l’intero spazio a Kering, per trasformarlo nel nuovo headquarter milanese del gruppo, con canoni sicuramente di livello prime.
Oggi avete anche alcuni retail park, come Roero e Serravalle, ricevuti in dote con l’acquisizione di Aedes. Riscontri?
Al di là delle high street, era la prima volta che affrontavamo questo tipo di retail. È un’asset class che non rientra nella nostra strategia core, ma è molto interessante anche perché si riceve un riscontro veloce sul termometro della situazione a livello di fatturato. Siamo soddisfatti. Almeno dal nostro punto di osservazione, anche il retail out-of-town ha ritrovato i livelli pre pandemia, sia come presenze sia come scontrino medio. Il fashion performa bene, il food ancora meglio, mentre occorre ammettere che l’elettronica di consumo fatichi ancora un po’. Ma questo è un fenomeno fisiologico, in un tipo di commercio dove viene meno la parte di experience in negozio e dove una quota importante di acquisti, ormai, si genera on line.
Allargando lo sguardo al residenziale, sempre a Milano avete presentato il piano di rilancio da 450 milioni di euro nell’area dell’ex Trotto. Quale è significato ha?
È l’emblema dei progetti di rigenerazione urbana, in cui non c’è consumo di nuovo suolo, con un privato che investe in una zona che altrimenti continuerebbe a rimanere dismessa. Quindi è evidente la vocazione sociale con destinazione mista, anche per tipologia di final user. L’accordo con il Comune è che la metà dello sviluppo residenziale, pari a 700 appartamenti, sia vincolata a un canone convenzionato. Non si tratta di housing sociale, ma di “affordable housing”, ovvero appartamenti nuovi e arredati, contraddistinti da massima efficienza energetica con una serie di servizi alla persona e con un canone di circa mille euro al mese per 100 metri quadrati (spese incluse), valori quindi ben distanti da quelli del mercato libero. In particolare, di questi 700 appartamenti, 300 saranno destinati al senior living e 400 alle famiglie. Ipotizziamo l’avvio dei cantieri a fine 2024 e di riuscire a terminare tutto l’intervento nel giro di tre anni.
Curiosità. Se lo stadio resta o se ne va da San Siro, che cosa cambia per il progetto?
Nulla, non è un elemento determinante per noi, come sviluppatori, e la presenza dello stadio non toglie o aumento particolarmente l’appetibilità per i futuri inquilini.
Hines investe quasi esclusivamente per conto di operatori stranieri. Come viene visto il nostro Paese da oltre confine?
Il nostro sistema è sicuramente caratterizzato da elementi di complessità burocratica, per lo più riguardanti qualità e rapidità nei rapporti con le amministrazioni locali. Per quanto riguarda le piazze in cui investire, Milano è sempre molto richiesta ed è ormai nel mirino degli investitori internazionali poiché può vantare un track record di operazioni positive che le fanno da biglietto da visita. In questi anni abbiamo molto apprezzato il dialogo virtuoso instaurato dall’amministrazione comunale che, rispondendo con disponibilità e competenza, ha permesso la realizzazione di progetti importanti, tra cui ad esempio tutta la dorsale di Porta Nuova. Roma può sicuramente essere il secondo polo su cui convogliare attenzioni e investimenti, ma manca in effetti il track record.
E quindi, come evolverà il business di Hines in Italia?
Milano è sempre interessante, ma comincia a scontare una certa carenza di prodotto. Guardiamo la Capitale con grande attenzione, perché presenta un potenziale enorme su diverse asset class, sia fuori città, penso alla logistica, sia nell’area urbana. Ci piacerebbe essere protagonisti di altri progetti importanti di rigenerazione urbana. In linea generale, però, non bisogna sottovalutare la congiuntura. Oggi il livello dei tassi di interessi frena le operazioni per tutti, perché l’accesso al credito è diventato più oneroso.
E sul retail?
Lo guardiamo con attenzione e siamo aperti ad opportunità di valore.
Anche i centri commerciali?
Perché no? Dipende dalle caratteristiche e dal rendimento potenziale. Il centro commerciale è un asset class particolare, che subisce molto i cambiamenti di abitudini dei consumatori. Nel mercato inglese, si è imposto un concetto per cui un centro commerciale, dopo 15-20 al massimo, è considerato obsoleto e sia più efficiente rifarlo ex novo piuttosto che riqualificarlo. Da noi il panorama oggi non è diverso, ci sono shopping center di fascia alta che performano bene e altri oggettivamente rimasti indietro e di difficile collocazione.
Milano ne sta inaugurando di nuovi, dal grande Merlata Bloom a piccoli concpet, come Certosa District. Si riparla anche del progetto Westfield a Segrate. C’è ancora spazio per nuovi sviluppi di grandi dimensioni?
Non voglio esprimermi su operazioni di altri. Sicuramente, però, in un determinato bacino territoriale il mercato potenziale rimane sempre lo stesso. È possibile spostare parte della domanda da un centro all’altro, ma non moltiplicarla. Inoltre non va sottovalutata la congiuntura. Con il livello dei tassi di interesse di oggi, l’accesso al credito e la costruzione sono diventati più onerosi.
Parliamo del rapporto tra tenant e proprietà. È d’accordo sul fatto che il mercato di oggi necessiti di formule contrattuali nuove e più flessibili?
Sì, ma occorre essere realisti e concreti. A livello di canone, una parte “fissa” è basilare per instaurare un rapporto sostenibile. E oggi senz’altro si concede una parte variabile legata ai ricavi. Succede spesso, ad esempio, con i partner della ristorazione. Il food è un settore per sua natura altalenante, che fatica a mantenere una quota alta di “fisso”; quindi, si può inserire un elemento di condivisione degli utili al raggiungimento di un determinato livello di ricavi. Altre formule invece, come ad esempio considerare il footfall, e non solo le vendite, a livello di parte variabile, possono funzionare solo in alcuni contesti, come i centri commerciali.
Esg e sostenibilità energetica. Necessità o opportunità?
Nel mercato di oggi, sia per l’investitore sia per l’inquilino, questo aspetto è ormai determinante, una conditio sine qua non che viene prima di qualsiasi discussione. Le stesse certificazioni, come Breeam o Leed, ormai sono un pre requisito minimo. Come Hines, stiamo cercando di accelerare verso la decarbonizzazione. E se l’obiettivo Ue a lungo termine è il 2050, noi siamo impegnati per raggiungere nei nostri edifici il net carbon zero entro il 2030, che si ottiene tramite opere di efficienza energetica ma anche molto attraverso progetti di compensazione. È una questione etica, ma in effetti anche di mercato, in ottica del valore per una futura rivendita.