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Nella selva oscura della crisi Coronavirus, è d’obbligo guardare non solo al presente ma anche al futuro, per stimolare una ripartenza che renda il settore dei centri commerciali un volano per la crescita del Paese e per una ritrovata socialità e voglia di aggregazione tra le persone.

Con Francesco Ruffino, socio fondatore dello Studio Legale Frau Ruffino Verna, abbiamo parlato di misure straordinarie sul tema degli affitti di ramo d’azienda e delle locazioni, invocato da Confimprese  e da Federfranchising Confesercenti, nonché di auspicabili interventi del Governo non solo in ambito economico ma anche legislativo.

 

Si parla della necessità di bloccare o rivedere i canoni di affitto/locazione per i retailer che operano all’interno dei centri commerciali. Qual è la sua opinione?

Qualcuno invoca la forza maggiore o il factum principis: una soluzione accademica che, al di là dell’essere poco praticata, non mi pare possa in concreto essere efficace in casi come questo in cui le prestazioni tipiche del contratto, almeno allo stato, non sono oggettivamente “impedite” dai provvedimenti emanati, ma semmai rese dall’attuale situazione “soggettivamente” più difficoltose: una prestazione economica (qual è quella del pagamento di un canone) per sua stessa natura non può divenire oggettivamente impossibile da adempiere, né può gravare sulla proprietà il rischio d’impresa relativo all’attività svolta dal retailer che subisce le limitazioni disposte dal Governo. Il factum principis potrebbe essere nel caso invocato dai retailer nei confronti del Governo (che poi è esso stesso il principe): si potrebbe chiedere di applicare misure analoghe all’indennizzo dovuto dalla Pubblica Amministrazione in ipotesi di occupazione o di requisizione temporanea in casi di emergenza nel prevalente interesse pubblico. Tra le parti si potrebbe fare ricorso al principio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, applicabile se e quando una certa prestazione, per fatti imprevedibili, sia diventata troppo onerosa, ma considerando l’equilibrio complessivo del contratto e misurandola nel tempo, non nell’immediato. Ma il problema in questo caso è un altro, e cioè che l’onerosità interesserebbe tutte le parti in causa: se è vero infatti che i retailer stanno soffrendo (anche se, forse, per altri costi più ingenti rispetto al canone, come quello relativo al personale), è altrettanto vero che anche le proprietà soffrono e potrebbero soffrirne oltre misura. Nel concreto, se i retailer non onorassero i canoni, a loro volta le proprietà non riuscirebbero a pagare i propri dipendenti o le rate del mutuo che hanno sull’immobile. È una catena, per cui la situazione va vista nel suo insieme e risolta tramite una concertazione tra le parti. E in questa fase lo Stato deve intervenire prontamente, con misure che non vadano a sostegno solo dell’uno e dell’altro, ma di tutti gli attori, dipendenti compresi, di un settore che soffre al pari di altri, magari più citati dai mass media.

Che misure auspica da parte del Governo?

Sicuramente misure idonee a superare questo periodo, prevedendo indennizzi e coperture, autorizzando la cassa integrazione per tutti i dipendenti del comparto e spostando determinate scadenze. Evitando, ovviamente, che le nuove scadenze si sovrappongano e quelle successive. Inoltre, al di là degli aiuti economici, il Governo potrebbe dare un contributo attraverso nuove norme che portino a una maggiore flessibilità e a evitare incertezze sulla riqualificazione dei contratti, che consentano ad esempio ai centri commerciali di avere contratti ad hoc più pertinenti, un tertium genus che non sia dunque né l’affitto di ramo d’azienda né la locazione. Il nostro codice si basa sul principio dell’autonomia contrattuale: è ora di applicarlo.

Mentre, nella dialettica tra property e tenant, quale modus operandi e soluzioni consiglia?

Il blocco totale dei canoni mi sembra, oltre che non sostenibile giuridicamente, un rischio anche per i retailer, perché se questi vogliono avere una chance di ripresa hanno bisogno di centri commerciali efficienti che abbiano le risorse per funzionare. Tutti gli attori devono sedersi attorno a un tavolo e, sulla base di questa forma di concertazione che deve coinvolgere anche il Governo, trovare un minimo di equilibrio e sostenibilità. Le soluzioni vanno ritagliate su misura, caso per caso. In questi giorni ho sentito tante proprietà, società di gestione e anche retailer, e mi pare di poter dire che tra tutte le parti in causa ci sia la consapevolezza e la comprensione delle rispettive esigenze. Quello dei centri commerciali e del retail è un mondo unico, che lavora insieme, e che non si mette l’uno contro l’altro. Lo ha dimostrato molte volte e lo dimostrerà anche questa volta, in questa situazione difficile per tutti.

Sia lato proprietà che retailer, il mercato è composto da grandi e piccole realtà, aziende italiane e multinazionali. Crede che questo fattore possa rallentare e/o ostacolare la capacità di reazione all’emergenza Coronavirus?

Le realtà multinazionali dipendono anche dalle scelte prese dai board internazionali, per cui potrebbero avere una capacità di risposta meno immediata, ma non per questo meno corretta e ragionata. Il fatto che inizialmente l’emergenza fosse circoscritta alla sola Italia (anzi, ad alcune zone d’Italia) può aver portato a una maggiore rigidità, ma, ora, con l’estendersi del problema, l’approccio è sicuramente diverso, di maggiore sensibilità e prontezza di risposte. E mi riferisco sia a catene di brand che a property internazionali. Nel mercato ci sono anche realtà maggiormente legate al territorio, che quindi hanno, per loro natura, una più spiccata propensione a considerare attentamente quanto accade a livello locale. Ma tutto ciò attiene alle peculiarità di ciascuna azienda, di cui si deve sempre tener conto.

Una volta passata la tempesta, cosa vede?

In Italia i numeri dei centri commerciali non hanno mai registrato un calo; se ne parla soltanto perché la crisi ha colpito gli USA (il cui contesto sociale e competitivo è completamente diverso da quello europeo e italiano in particolare) e la finanza immobiliare, che è prevalentemente anglosassone, fa purtroppo spesso riferimento a tale diverso mercato, dimenticando talvolta di guardare ai numeri di casa nostra, che sono e sono sempre stati positivi. Quanto alla minaccia dell’eCommerce, questo cresce sì, ma molto meno che negli altri paesi e c’è un perché di questo fenomeno: il retail in Italia è più esperienziale e i centri commerciali sono spesso più belli e moderni che in altri paesi, anche europei, dove fare shopping è molto meno piacevole: il gusto italiano è un fattore di successo anche per l’industria dei centri commerciali. Per cui credo che, nonostante la fisiologica necessità di ammodernamento e riqualificazione di alcune strutture, i centri commerciali, da quelli tradizionali, ai parchi agli outlet, saranno un volano per la ripresa e l’evoluzione dell’economia e dei consumi anche nell’immediato, quando, superata la minaccia del Coronavirus, la rinnovata voglia di socialità e il desiderio di aggregazione, li vedrà protagonisti. A.P.

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