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Annunciata a più riprese, avvicinata e allontanata, la Fase 2 ha ufficialmente inizio il 4 maggio. A certificarlo, in una conferenza stampa rivolta a tutti gli italiani il 26 aprile, è stato il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ha anche scandito le tappe di riapertura del tessuto produttivo e commerciale.

«Si tratta di una fase di riapertura a rischio calcolato, la fase di convivenza con il virus. Ma sarà fondamentale mantenere un comportamento responsabile da parte di ogni cittadino», ha spiegato Conte. Un annuncio arrivato con una settimana di anticipo rispetto alla data di ripartenza ,«così da permettere ai cittadini di elaborare un piano
ben strutturato». Eppure non ha spazzato via i dubbi operativi che aziende e imprese si troveranno a sbrogliare nel mese di maggio. Neppure con le FAQ pubblicate a inizio mese.

Il calendario penalizza la ristorazione

Fra gli elementi più certi, a differenza di quanto visto finora, c’è il calendario della Fase 2. Una serie di date che scandiscono il ritmo della riapertura. Dal 27 aprile hanno ripreso a lavorare le aziende strategiche, industriali e produttive che esportano all’estero. Dal 4 maggio tutti gli altri; compreso il commercio all’ingrosso relativo alle varie filiere. Non il foodservice a cui si dà comunque modo di operare in modalità d’asporto (drive through compreso), a patto che il cibo acquistato venga poi consumato in casa o in ufficio e non in prossimità del punto vendita. Per una ripresa del commercio al dettaglio si dovrà attendere il 18 maggio. E qui entrano in gioco i protocolli di igienizzazione e sanificazione degli spazi commerciali (con relativi costi da sostenere). Ultimi: bar, ristoranti, pub, gelaterie e pasticcerie che, dal primo giugno, potranno riaprire i battenti e tornare a servire i propri clienti (allo studio, anche una possibile anticipazione di questa data sempre il relazione all’andamento del contagio). Sempre che il gioco valga la candela, con il rischio di dover tagliare, in base agli spazi disponibili, quasi la metà dei posti a
sedere. Stessa data anche per le attività come estetisti e parrucchieri. A loro è richiesta l’obbligatorietà di mantenere un rapporto uno a uno fra cliente e operatore e, quindi, mettere in campo un’organizzazione di lavoro su appuntamento.

Sanificazione e orari

In attesa di un protocollo condiviso e preciso su quali misure adottare per chi opera nel retail (escluso l’allegato 5 del DPCM), emergono le prime criticità: operazioni di sanificazione e orari. In quest’ultimo caso, per esempio, un tavolo di lavoro era già stato attivato a Roma, fra Comune e Regione, prima della pubblicazione del DPCM. Sul piatto la possibilità di scaglionare gli orari di apertura dei negozi al fine di evitare eventuali picchi e assembramenti. Una proposta che, sostanzialmente, andrebbe a stravolgere il principio di liberalizzazione degli orari di apertura introdotto nel 2011 dal Salva Italia di Monti. Per renderla praticabile è allo studio anche un piano per disattivare
i varchi delle ZTL (anche Milano ha già intrapreso questa via a cui si aggiunge la possibilità, in entrambe le città, di parcheggiare su strisce blu e gialle in modo più agevole) in attesa che il trasporto pubblico venga adeguato alle direttive sanitarie. Quest’ultime, per i retailer, prevedono l’igienizzazione degli spazi commerciali almeno due volte al
giorno. Ma a che costo? Una prima stima viene dalla Campania dove la Regione e il Comune di Napoli hanno disposto, a fine febbraio e fine aprile, due sanificazioni obbligatorie che, secondo la Confcommercio della città partenopea, hanno costato circa 1,50 euro a metro quadro. Eppure la situazione appare ancora eterogenea, con costi che potrebbero lievitare. Un’occorrenza a cui la stessa associazione dei commercianti napoletani vuole mettere un
freno attraverso un accordo di categoria per un prezzo forfettario che vari dai 50 ai 100 euro. Infine, rimangono in vigore le disposizioni fin qui sperimentate: utilizzo di mascherine nei luoghi o ambienti chiusi, utilizzo dei guanti durante l’acquisto di alimenti e bevande e il limite minimo dei 40 mq introdotto a inizio aprile (in cui si può accedere una persona alla volta per un massimo di due operatori).

Le prime reazioni

Fra i primi a esprimere il proprio rammarico per le scelte del Governo ci sono i commercianti del settore moda che, attraverso una nota di Federazione Moda Italia-Confcommercio, parlano della «cronaca di una morte annunciata». Secondo le prime stime, posticipando al 18 maggio la ripresa delle operazioni, la perdita per il 2020 dovrebbe toccare quota 15 miliardi. Una somma che metterebbe a rischio un network di oltre 17mila punti vendita e con il
rischio di perdere 35mila occupati. Scenario che, in un’intervista a Il Giornale, hanno portato Gianluigi Cimmino, ad di Pianoforte Holding (che comprende Yamamay, Jacked e Carpisa) ad affermare che, con le disposizioni prese, il Governo «sta facendo di tutto per tenerci chiusi. Se le cose restano così, per molti di noi l’unica convenienza sarà rimanere fermi». Con toni simili si sono espressi anche i ristoratori, per bocca di Fipe, giudicando negativamente l’attesa del primo giugno. Per quella data, il settore dovrebbe perdere ulteriori 9 miliardi di euro, arrivando così
a un ammanco pari a 34 miliardi di euro dall’inizio della pandemia. Una mancanza di cassa che impatta sulla sostenibilità delle imprese ancora in attesa della cassa integrazione e delle misure di sostegno economico per ora solo annunciate dal Governo. D’altronde, secondo un report del Centro Studi di Confcommercio, nel 2020 si registrerà un perdita di 84 miliardi di euro di consumi. E i più colpiti sarebbero proprio i settori del vestiario e calzature, automobili e moto, servizi ricreativi e culturali, alberghi, bar e ristoranti che insieme raggiungerebbero tre quarti delle perdite stimate. Il tutto senza considerare che, come registrato da un studio EY-Confimprese, marzo è già entrato negli annali del commercio al dettaglio come il peggior anno da quanto esistono le serie storiche segnando un -79% nei consumi (portando il primo trimestre dell’anno a chiudere con un -26%).

N.G.

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