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Take away e delivery non son bastati per salvare NPC International Inc., il più grande franchisee del brand Pizza Hut negli USA, che è stato costretto ad attivare la procedura per la bancarotta. A pesare sulle prestazioni della catena di pizzerie sono stati gli effetti del lockdown che hanno aggravato una situazione già difficile.

Storico brand americano fondato dai fratelli Dan e Frank Carney nel 1958, Pizza Hut ha iniziato come rivenditore di piccolo rivenditore di pizza per gli studenti di Wichita, Kansas. Da lì una storia di successo che nel giro di 20 anni avrebbe portato il brand ad avere una rete di quattromila ristoranti, con tanto di consegna a domicilio.

Le difficoltà

Dopo il primo passaggio a PepsiCo (per 300 milioni di dollari) e la successiva acquisizione da parte di Yum, Pizza Hut ha visto declinare il proprio appeal nei confronti dei consumatori (conquistati da competitor come Domino’s e Papa John’s). Una situazione su cui si è abbattuta la scure del coronavirus e del conseguente lockdown. Alla chiusura forzata dei 1.225 ristoranti della propria rete (a cui si sommano anche 385 ristoranti a marchio Wendy’s), il franchisee NPC International non ha saputo reggere il peso di 903 milioni di dollari di debito. A poco, infatti, sono servite le attività di delivery e take away in un momento di stretta dei consumi e azzeramento dell’affluenza nei punti vendita. Con un comunicato diramato il primo luglio, NPC International ha annunciato l’attivazione del Chapter 11 assicurando che un accordo è già stato raggiunto con il 90% dei creditori di primo livello e il 17% dei creditori di secondo livello. Obiettivo: ristrutturare il debito attraverso la razionalizzazione dei propri costi operativi al fine di allinearsi alle performance di Pizza Hut US che nel mese di maggio ha registrato il picco di consegne a domicilio più alto in otto anni.

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