Skip to main content

Il brand di abbigliamento e attrezzatura sportiva Patagonia, può essere definito “nativo sostenibile”.

Nato a metà anni ’70, dal fondatore Yvon Chouinard che è stato un appassionato di outdoor è scalate, il marchio si è via via contraddistinto per il sostegno a cause e posizioni ambientaliste. O come si dice oggi per una produzione e gestione sostenibile del business.

Una percentuale fissa dell’1% del fattturato viene devoluto ad organizzazioni impegnate per l’ambiente e la sostenibilità, nel 2016 gli incassi del black friday sono stati interamente donati. E dal 2017 Patagonia ha cominciato a comunicare sul tema del riuso, stimolando i propri clienti a rendere i capi usati e in buone condizioni in cambio di vantaggi e sconti. Attenzione viene rivolta anche alla produzione e al tema del lavoro.

L’ultima campagna di Patagonia invece ha come tema “Buy less, demand more”, un invito esplicito ad acquistare di meno ma pretendendo di più. “L’industria dell’abbigliamento contribuisce fino al 10% dell’inquinamento globale, causa della crisi climatica. E i lavoratori di questa industria sono tra i meno pagati al mondo. Ma questo può cambiare. Scegli pratiche migliori. I tuoi acquisti possono guidare il cambiamento.” Questo l’invito di Patagonia comunicato ampiamente su sito e social anche in queste settimane.

Il tema della sostenibilità nel retail è sempre più sentito dai clienti e dalle aziende. Come ha sottolineato di recente lo studio di McKinsey “The State of Fashion 2021” in cui un capitolo è dedicato esplicitamente al tema “Less is More. A More Circular Fashion Industry Will Require a Collective Effort”. Sullo studio McKinsey uscirà un approfondito servizio sul numero di Gen/Feb di retail&food.

Riproduzione riservata © retail&food