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Expo Italia Real Estate 2015 non ci sarà. La notizia, che non stupisce, è arrivata per mano dello stesso presidente di Ge.Fi – Gestione Fiere, Antonio Intiglietta, attraverso una lettera che ha inviato a tutta la community legata alla kermesse.
La crisi ha certamente contribuito in modo determinante a invertire il trend positivo che aveva contraddistinto la rassegna nei primi anni, quando grandi e sfarzosi stand occupavano per intero i due padiglioni nel complesso di Rho-Pero. Ma come sovente capita, dalle stelle alle stalle il passo è stato molto breve, anche perché, dal nostro punto di vista e da quello di molte aziende, nulla o troppo poco è stato fatto per andare incontro alle esigenze degli espositori.
Non siamo d’accordo, quindi, sul tentativo un po’ maldestro di attribuire proprio agli operatori del settore real estate la responsabilità di questo fallimento, come invece sostiene Intiglietta nel passaggio che vi proponiamo: «Devo dire, con grande sincerità e dopo una lunga riflessione, che faccio fatica a identificare una vera “community” del settore che voglia nei fatti – al di là delle intenzioni o del pregevolissimo personale tentativo di qualche manager o imprenditore – giocare una partita reale per la trasformazione del Paese, generando credibilità e autorevolezza. Ringraziamo di cuore tutti coloro che hanno voluto investire nell’evento, soprattutto negli ultimi anni, ma la quantità dei soggetti disposti a giocare un ruolo da protagonisti non costituisce, al momento, una “massa critica” sufficiente alla realizzazione dell’evento stesso».
La mancanza di «massa critica», che in sostanza significa la mancanza di adesioni, è invero il drammatico ma naturale risultato di una miope politica gestionale. Da un lato, infatti, non ha pagato la scelta di portare avanti una fiera despecializzata, alimentata da tante anime che poco avevano in comune. Il residenziale con il retail… giusto per fare un esempio. Dall’altro, quando è scoppiata la crisi, i listini fieristici al mq sono rimasti troppo alti (questo era il parere di numerose aziende), salvo poi dover “riempire” spazi vuoti con prati sintetici e simpatiche sedute, mentre i servizi a valore aggiunto, che avrebbero potuto fare la differenza, sono rimasti dei costi ulteriori.
A questo si aggiunge l’agognata, e mai raggiunta, impronta internazionale.
E quindi constatiamo con amarezza l’ennesimo fallimento delle fiere italiane. Fallimento che in tempi non sospetti avevamo ipotizzato: nel luglio del 2012 avevamo intitolato il nostro resoconto: “Arrivederci a Eire 2013: ne siamo sicuri?”.  A.P.

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