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Da quasi un anno il tema delle autostrade occupa il dibattito politico e non solo. La tragedia del Ponte Morandi di Genova e le polemiche fra il Governo e Atlantia, società della famiglia Benetton e il maggiore dei concessionari con i suoi 2.857 chilometri gestiti da Autostrade per l’Italia, hanno acceso i riflettori su pedaggi, investimenti e sicurezza. Tralasciando il tema royalty.

Questioni che, al di là della partita ancora aperta sulla possibile nazionalizzazione della gestione della rete, sono state affrontate dalla conversione in legge del Decreto Genova del 2018 che prevede una sostanziale estensione dei poteri dell’Autorità per la Regolazione dei Trasporti (ART) sia per quanto riguarda le nuove concessioni
che per quelle già in essere. A guidare l’intervento di Art sarà il meccanismo del
price-cap che prevede l’introduzione di un indicatore di produttività basato sul confronto competitivo tra le migliori aziende del settore e sul quale saranno poi tarate le remunerazioni sul capitale investito. Una decisione che, da un lato, ha trovato la contrarietà di Aiscat, che sottolinea come «gli esiti della procedura violano i più basilari principi giuridici della certezza dei contratti e delle regole stabiliti sia a livello comunitario che nazionale, indebolendo fortemente l’immagine di affidabilità
del sistema Italia». Dall’altro, ha di fatto messo in ombra il tema dell’offerta e dei servizi
che gli utenti possono trovare lungo le autostrade del nostro Paese. Un tema che, al pari
delle concessioni sulle infrastrutture viarie, si regge sul meccanismo delle royalty. In breve, “l’affitto” che gli operatori travel retail devono pagare per il business delle aree di sosta.

A fine marzo, la cronaca rimesso per un attimo le royalty al centro del dibattito fra i professionisti del settore dopo che un’operazione delle Guardia di Finanza e della Polizia ha scoperto una truffa milionaria ai danni di Autobrennero, gestore della A22. Al centro della vicenda è finito Hermes, che gestisce sei punti vendita sulla tratta in questione e che attraverso un sistema di frode avrebbe battuto scontrini ad hoc per evitare il pagamento dei diritti dovuti al concessionario. Un fatto che ha suscitato
la reazione di Aigrim, associazione che raggruppa i vari operatori della ristorazione commerciale nelle aree di sosta, che ha richiamato l’attenzione di utenti, istituzioni e investitori affinché siano indette «gare di aggiudicazione con criteri che premino adeguatamente i livelli qualitativi dei servizi offerti oltre che i livelli economici».

Sul tema royalty si era già espressa anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, ancora nel 2013, aveva evidenziato «la preferenza per una royalty di
importo fisso, atteso che tale soluzione – rispetto ad una royalty che variasse in funzione
del fatturato realizzato – aveva il pregio di incentivare i sub-concessionari a porre in essere politiche commerciali volte alla massimizzazione dei volumi di vendita, al fine di ridurre l’impatto del canone fisso». Certo che, se il traffico e le spese nelle aree di sosta diminuiscono, la royalty fissa diventa un peso più che un incentivo. Per questo l’Agcm riteneva «opportuna l’adozione nei bandi di gara di meccanismi di revisione dei prezzi tali da consentire l’adeguamento della royalty fissa a parametri oggettivi purché siano elementiesogeni rispetto al comportamento del subconcessionario».

N.G.