Quella che dall’altra parte dell’Atlantico hanno ribattezzato con il nome di Retailapocalyps continua anche nel 2020. E a farne le spese è il colosso dei grandi magazzini Macy’s che annuncia la chiusura di 125 store nei prossimi tre anni.
L’annuncio delle chiusure è solo l’ennesimo tentativo da parte di Macy’s per ridurre i costi del canale fisico che nel 2018 contava circa 867 store di cui 650 con l’omonima insegna. Un numero, quest’ultimo, già sceso drasticamente dai 773 punti vendita del 2014 e in continua diminuzione.
Le cause
Alla base della scelta di ridurre la propria footprint, ci sarebbero risultati finanziari non esaltanti. Sebbene nel 2017 le vendite fossero tornate a salire dopo undici quarti consecutivi in perdita, il terzo quarto del 2019 ha segnato un -3,5% in termini di ricavi. Una riduzione che i vertici di Macy’s si spiegano solo indicando la scarsa competitività del canale fisico (rispetto a quello online) gravato da strutture vecchie e un’esperienza di acquisto per niente in linea con la fluidità delle nuove abitudini di consumo. Un contesto che ha costretto Macy’s a varare un piano di risparmio da 1,5 miliardi di dollari all’anno entro il 2022, di cui 600 milioni di dollari lordi nel 2020.
I tagli
I tagli al proprio network non sono una novità per Macy’s che già nel 2017 aveva dato avvio a un piano di chiusure che avrebbe dovuto coinvolgere 100 punti vendita ma si era fermato a 63 (a cui se ne sono aggiunti una trentina nel corso del successivo biennio). Ad aprile del 2020, però, sarà anche la volta della sede di San Francisco che ospita le divisioni tecnologiche e digitali del brand (circa mille dipendenti). Seguiranno poi altre 125 chiusure; circa un quinto della superficie commerciale totale del brand. «Ci concentreremo sulla parte sana del nostro business – ha detto in un comunicato stampa il ceo, Jeff Gennette – Negli ultimi tre anni abbiamo dimostrato di saper far crescere la parte alta della forbice; ma sappiamo che c’è molto lavoro da fare per migliorare la parte bassa della stessa».
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