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Il 18 maggio, la Fase 2 entra finalmente nel vivo per il mondo del retail real estate. Attraverso l’ultimo DPCM firmato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte gli esercizi commerciali e i pubblici esercizi anticipano la ripresa delle attività. Ma sulla piena operatività pesano dubbi sull’opportunità della riapertura, difficoltà strutturali per gli adeguamenti dei locali e protocolli nazionali che le Regioni non hanno perso tempo a modificare.

A dettare la linea, è il DPCM annunciato nel weekend e firmato domenica 17 maggio dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Un documento che fa il paio con il DL Rilancio con cui il Governo ha messo sul piatto una manovra da circa 55 miliardi per far ripartire l’economia italiana. Obiettivo: parare il colpo, aiutare le fasce più deboli della popolazioni e dare ossigeno ad aziende e imprese, sopratutto nel terziario, e porre le basi per una ripresa che, secondo Bankitalia, arriverebbe solo nel 2021. Nell’anno in corso, infatti, la stima del PIL è negativa: -9%. E consumi in riduzione del -8,8%.

Le direttive del DPCM

Scorrendo il DPCM del 17 maggio, bisogna arrivare a pagina sei, punto dd, per trovare le prime indicazioni relative al mondo retail: «Le attività commerciali al dettaglio si svolgono a condizione che sia assicurato, oltre alla distanza interpersonale di almeno un metro, che gli ingressi avvengano in modo dilazionato e che venga impedito di sostare all’interno dei locali più del tempo necessario all’acquisto dei beni; le suddette attività devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali e comunque in coerenza con i criteri di cui all’allegato 10». Oltre alle misure indicate, si raccomanda «l’applicazione delle misure di cui all’allegato 11». Un passaggio, quest’ultimo, che nasconde il braccio di ferro fra Regioni e Governo, con un confronto prima dato per acquisito e poi successivamente rinegoziato. E tuttavia non del tutto chiarito. Diversi i presidenti di Regione che hanno successivamente integrato, modificato o addirittura disconosciuto il testo originale che per alcuni (come nel caso del presidente Vincenzo De Luca in Campania) scaricava troppa responsabilità sugli enti locali. Ne è un esempio il caso della ristorazione. Il settore, precedentemente finito in fondo al calendario delle riaperture e da mesi impegnato a ripensare i propri format (con tanto di dibattito sui metri di distanziamento, le barriere in plexiglas e la polemica sull’asporto) avrebbe dovuto riprendere dal primo giugno. L’anticipi di due settimane da un lato incontra il favore di aziende che sul cash-flow basano gran parte del proprio business, dall’altro ha attirato ulteriori manifestazioni di insofferenza (come quella andata in scena sabato 16 maggio nei pressi della stazione di Milano Cadorna, stavolta senza multe). Nel DPCM si legge: «Le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite a condizione che le regioni e le province autonome abbiano preventivamente accertato la compatibilità dello svolgimento delle suddette attività con l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e che individuino i protocolli o le linee guida applicabili idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in settori analoghi». Insomma, per i ristoratori tocca approfondire caso per caso. Per chi è impegnato nel settore del travel retail rimane consentita (come da inizio pandemia) l’attività «negli esercizi siti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo le autostrade, fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi». Aperti anche gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande siti negli aeroporti.

Gli allegati

Come negli episodi precedenti, a entrare maggiormente nel dettaglio delle modalità di riapertura sono gli allegati. In questo caso il 10 e 11. Alla base della loro stesura, sia le raccomandazioni e i pareri del Comitato tecnico scientifico che i documenti di indirizzo prodotti da Iss e Inail. Linee guida dalle quali discendono alcune norme che valgono per tutto il territorio nazionale e sono state discusse con le Regioni. Ossia: mantenimento in tutte le attività e le loro fasi del distanziamento interpersonale; garanzia di pulizia e igiene ambientale con frequenza almeno due volte giorno e in funzione dell’orario di apertura; garanzia di adeguata aereazione naturale e ricambio d’aria; ampia disponibilità e accessibilità a sistemi per la disinfezione delle mani (sopratutto in prossimità di tastiere, schermi touch e sistemi di pagamento); utilizzo di mascherine nei luoghi o ambienti chiusi e comunque in tutte le possibili fasi lavorative
laddove non sia possibile garantire il distanziamento interpersonale; uso dei guanti “usa e getta” nelle attività di acquisto, particolarmente per l’acquisto di alimenti e bevande; accessi regolamentati e scaglionati attraverso ampliamenti delle fasce orarie, limite minimo dei locali a 40 mq (a cui può accedere un cliente alla volta oltre a un massimo di due operatori), differenziazione (se possibile) dei percorsi di entrata e di uscita; informazioni per garantire il distanziamento dei clienti in attesa di entrare.

Mobilità: la data del 3 giugno

Fra le novità di maggior rilievo del nuovo DPCM c’è l’indicazione della data del 3 giugno come possibile nullaosta alla mobilità interregionale senza bisogno di autocertificazione. Una possibilità che dovrebbe estendersi anche oltre i confini nazionali « fatte salve le limitazioni disposte per specifiche aree del territorio nazionale». Sarà quindi consentito lo spostamento da e per gli stati membri dell’Unione Europea, quelli che fanno parte dell’accordo di Schengen, Regno Unito e Irlanda del nord, Andorra e Principato di Monaco, San Marino e Vaticano. Dal 3 al 15 giugno 2020, invece, restano vietati gli spostamenti da e per Stati e territori diversi da quelli appena descritti (salvo per comprovate esigenze lavorative, di urgenza e di salute).

Riaperture a metà

Ma quanti sono i negozi e ristoranti che riaprono? Secondo un report FipeConfcommercio pubblicato poche ore prima della riapertura, su 800mila attività commerciali e dei servizi di mercato ancora in lockdown molte non coglieranno l’opportunità di riaprire. Fra bar e ristoranti associati alla Federazioni Italiana Pubblici Esercizi, sette su dieci alzano la serranda (circa 160mila esercizi). In generale, e per gli altri settori del commercio, rimangono ferme 240.596 attività su 433mila totali; fra queste: 72mila imprese dell’abbigliamento e calzature, 14mila punti vendita di mobili e 59mila ambulanti di beni non alimentari. Per quanto riguarda i servizi di mercato, le imprese attualmente chiuse sono 583.659 unità e si concentrano nel settore della ristorazione e bar con circa 280mila imprese, dell’alloggio 31mila imprese e delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento con 73.523 imprese.

Gli aiuti economici

Come scritto all’inizio, il DPCM sulle riaperture va a braccetto con il DL Rilancio che prevede 55 miliardi di aiuti per il tessuto socio-economico italiano. Fra questi, una larga fetta andrà a sostenere le imprese in crisi di liquidità a causa della chiusura forzata. Sopratutto quelle del retail. A loro sono dedicati i prestiti agevolati (fino a 25mila euro garantiti dallo Stato che prevede un piano di ammortamento in due anni e un restituzione in sei) e l’istituzione di un ristoro a fondo perduto differenziato in tre scaglioni (20% delle perdite per aziende fino a 400mila euro di fatturato, 15% fino a un milione e 10% fino a cinque milioni). Sconti fiscali sono previsti per lavori di ristrutturazione e sanificazione con soglie del 60% di credito d’imposta a fronte di un massimo fino a 80mila euro di spesa per gli adeguamenti degli ambienti di lavoro e fino a un massimo di 60mila euro di spesa per i costi di sanificazione. In termini di locazioni commerciali, viene concesso un tax credit fruibile da attività con ricavi non superiori ai cinque milioni nel precedente periodo di imposta e che abbiano avuto un calo di fatturato del 50%. Infine, la sospensione delle imposte (versamenti Iva, Inail e Inps che slittano al 16 settembre nonché l’Irap per esercizi e imprese con ricavi fino a 250 milioni di euro) e delle bollette energetiche attraverso l’istituzione di un fondo da 600 milioni di euro per maggio, giugno e luglio

N.G.

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