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Italia divisa dal Covid. Tre fasce di rischio che ridisegnano, su base regionale, le nuove misure anti-contagio che colpiscono le attività commerciali, gli spostamenti e i servizi. A pagare il prezzo più caro sono state Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria che, di fatto, tornano al lockdown di marzo.

Firmato il 3 novembre ma attivo dal 6, l’ultimo Dpcm del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte aggredisce in modo differenziato la pandemia. E, con l’istituzione di tre fasce di rischio a colori (quattro se si considera l’agognata verde), fa scattare una serie di limitazioni crescenti.

Limitazioni: zona rossa

Nelle zone rosse, ossia le regioni più a rischio, il Dpcm impone un vero e proprio lockdown. Anche se appaiono alcune lievi differenze rispetto a marzo. Chiusi tutti i negozi al dettaglio, rimangono aperti solo i rivenditori di generi alimentari, le farmacie e parafarmacie, edicole e tabaccai. Attivi anche lavanderie, fiorai, ottici, articoli sportivi, abbigliamento per bambini, ferramenta, giocattoli, profumerie, distributori automatici, informatica e parrucchieri. Si arrendono invece i centri commerciali, al cui interno rimangono attive solo le attività essenziali. Tornano a chiudere anche bar e ristoranti (ad esclusione del catering continuativo) che possono operare in modalità delivery e asporto, ma solo fino alle 22.00 e senza consumazione nelle vicinanze del posto.

Limitazioni: zona arancione e gialla

Per quanto riguarda le altre due fasce di rischio, le differenze sostanziali rispetto alla zona rossa riguardano le aperture dei negozi al dettaglio e la sospensione delle attività delle grandi superfici solo nei giorni festivi e prefestivi in entrambe le zone; l’apertura di bar e ristoranti fino alle 18.00 nella zona gialla.

I commenti

All’esecuzione delle misure di contenimento del contagio, sono subito seguiti commenti e proteste da parte dei settori più colpiti. Fipe stima che fino al 3 dicembre rimarranno chiuse circa 90mila attività, il 27% del totale per una perdita di circa 1,6 miliardi di euro. Secondo la Coldiretti, la perdita di fatturato sarebbe di almeno 3,8 miliardi per effetto della chiusura per un intero mese degli oltre 180mila ristoranti, bar e pizzerie situati nelle aree classificate di gravità massima o elevata in base al rischio contagio da coronavirus. Pesante lo stop nei weekend e nei festivi che, in alcuni canali come i centri commerciali, contribuiscono per il 50% del fatturato.

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