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Kebhouze ha chiuso il bilancio 2022 con un valore della produzione di 5,36 milioni, ma anche con una crescita dei costi, tra cui 1,76 milioni di salari.

Ne è derivata una perdita di esercizio da 1,34 milioni, più altri 200mila euro accumulati nei primi due mesi del 2023 (lo si legge nel Verbale d’assemblea di giugno).

Così si è resa necessaria un’operazione straordinaria (lo impone il Codice civile). Le perdite sono state coperte attingendo alle riserve, il capitale è stato ridotto a 264mila euro e subito ricostituito per intero (a 1 milione), tramite un aumento di capitale sottoscritto dalla holding di Gianluca Vacchi Cofiva.

Non una bella notizia. Ma niente di catastrofico per Kebhouze, una startup nata nel 2021, in un contesto di consumi altalenante, che aveva senz’altro messo in conto di chiudere in perdita il primo vero bilancio di esercizio.

La notizia è rimbalzata su tanti siti di informazione che si sono “copia-incollati” il testo e qualche testata, come ad esempio il Gambero Rosso, ha tratto conclusioni affrettate, scrivendo di “timori per la sorte dei 112 dipendenti”. Che in realtà sono di più, visto che la visura societaria riporta 135 addetti al 31 dicembre 2022. A questo, sui social si sono aggiunti i soliti commenti e luoghi comuni, come: “Vacchi sperava di vendere il kebab e gli è andata male”.

Kebhouze e i suoi fondatori si sono difesi. E hanno fatto bene. Chiedendo rispetto e ricordando un po’ di numeri, come i 24 punti vendita aperti in poco più di un anno, come le 150 persone assunte finora (dato aggiornato a giugno) e confermando l’intenzione di crescere, senza licenziare nessuno. Noi in questo caso stiamo dalla parte di Kebhouze.

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